Non Giudicate, da buoni Borghesi


IL VOLTO DELLA MISERICORDIA (2016)


« Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipendentemente dalla loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili. La psicologia ha fatto molto, la psichiatria forse ancora di più, però dell'uomo non sappiamo ancora nulla. Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell'errore... »
(Fabrizio De Andrè)


Nella canzone "La città vecchia" De André racconta frammenti di vita di quello strano popolo dimenticato che vive presso le aree più malfamate della zona del porto di Genova, «nei quartieri dove il Sole del buon Dio non dà i suoi raggi»: vecchi ubriachi che sfogano i loro dispiaceri nel vino, prostitute e loro clienti, ladri, assassini e «il tipo strano, quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano».


La canzone termina con questi splendidi versi:


«Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni 
più le spese.
Ma se capirai, 
se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli, 
son pur sempre figli
vittime di questo mondo»


Quello di De Andrè è un meraviglioso invito laico a non giudicare, ad andare oltre le semplici apparenze a cercare l'uomo nel profondo.


La sua canzone è dedicata agli ipocriti, ai benpensanti, ai moralisti sempre pronti a giudicare e puntare il dito, a chi si erige a giudice della vita degli altri senza conoscerne le sofferenze profonde, il vissuto e il bagaglio genetico; é dedicata a chi parla di pecore nere dando per scontato di appartenere al gregge delle pecore bianche; a chi moltiplica le leggi e i precetti carica gli uomini di pesi insopportabili che poi non si degna di portare nemmeno con un dito; a chi beneficia della lana e del latte delle pecore, ma non si cura neppure minimamente del gregge; è dedicata soprattutto a chi scandalizza i piccoli e con le mani grondanti sangue, è sempre pronto a scagliare una pietra su qualcun'altro.

Non possiamo slegare l'uomo dalla sua storia, dal suo vissuto dalla sua struttura psichica, dal contesto in cui si trova.
Non tutti abbiamo ricevuto la stessa misura, e non a tutti verrà chiesta la stessa misura.

A qualcuno potrebbe sembrare antidemocratico e discriminatorio ma le cose fondamentali della nostra vita non sono il prodotto di una scelta: Non scegliamo il luogo dove nascere né i genitori da cui nascere; non scegliamo le doti naturali con le quali veniamo al mondo o i pesi da portare.

Diseguaglianze e iniquità portano ingiustizia, molto spesso le vittime di violenza li vediamo riapparire nelle stesse aule di tribunale come responsabili, a loro volta, di crimini violenti.
Parte della responsabilità di queste disuguaglianze e ingiustizie ricade certamente sul sistema.


Quanta confusione e superficialità quando si parla di merito! Una non bene intesa cultura del merito ci spinge a pensare che la realizzazione e il successo dipendano dai propri sforzi. Ma sappiamo bene che non è così!

Dice S. Paolo: "io conosco il bene e lo vorrei fare, ma non c’è in me la capacità di attuarlo, infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio".


Non occorre essere un teologo per capire che nell'esercizio della nostra libertà, la piena coscienza e il deliberato consenso sono fortemente condizionate da fattori di vario genere; perciò anche di fronte a evidenti mancanze, dobbiamo guardarci bene dal giudicare e gridare allo scandalo.


Una consapevolezza parziale e un consenso non sufficientemente libero possono e devono costituire delle attenuanti alla responsabilità personale dell'uomo.
Di fronte ad una stessa colpa può non corrispondere una parità di responsabilità.

Questo non significa che a causa di circostanze attenuanti un atto oggettivamente cattivo, possa diventare soggettivamente buono, non dobbiamo correre il rischio di cadere in un relativismo soggettivista o peggio in una nociva deresponsabilizzazione dell'uomo o nella banalizzazione dell'errore; ma fuggire lo spirito relativistico dei nostri tempi, non può distoglierci dalla profonda certezza che le situazioni esistenziali sono molto differenti e complesse perchè il cuore dell'uomo è un abisso di cui appena intravediamo la superficie, per cui non spetta a noi giudicare.

Mi ha fatto molto piacere trovare nel catechismo della Chiesa Cattolica queste parole:


"Tuttavia, anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio."



Il volto misericordioso di Dio accoglie tutti: pagani, scettici, e peccatori.

Dobbiamo imparare a liberarci dai pregiudizi per capire il loro mondo, comprendere la loro situazione e metterci al loro posto. Il Padre ha pagato lo stesso prezzo per ognuno di noi e senza distinzione ci aspetta tutti con le braccia aperte.

Vorrei concludere questi pensieri ancora con Fabrizio De Andrè e la sua «Smisurata preghiera», una dedica che voglio fare mia: 

«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
 col suo marchio speciale di speciale disperazione
 e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
 per consegnare alla morte una goccia di splendore, 
di umanità, di verità».

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