L'augurio più bello per il Nuovo Anno: "UNA VITA NUOVA"

 


Padre Marco Ivan Rupnik, socio onorario Ucai, ci affida un augurio di speranza e bellezza per il nuovo anno: “Siamo chiamati a suscitare voglia e appetito nel mondo per una vita nuova, e la nostra fede non è altro che accoglienza di questa vita nuova. Dobbiamo coinvolgere le persone in un desiderio di vita nuova. Una religione moralistica che si è prosciugata non serve più. Solo se passa attraverso di noi questa vita di Dio, l’uomo è capace di portare il frutto che rimane. Il Padre è l’unico che può coprire la distanza che separa l’uomo perduto, peccatore, morto, dal Dio vivente. L’uomo da solo non può farlo: tale capacità di Dio di raggiungerci è la stessa identità di Dio verso di noi e verso la creazione, cioè la misericordia”.





La cappella del Pontificio Seminario Romano Maggiore dipinta da padre Marko Ivan Rupnik e dai suoi collaboratori del Centro Aletti: la parete di destra, dai colori acidi e freddi, raffigura storie bibliche in cui i protagonisti hanno detto “no” al progetto di Dio; la parete di sinistra, dai colori caldi e luminosi, rappresenta, invece, storie in cui l’uomo ha risposto “sì” alle chiamate del Signore; le immagini della parete centrale dietro all’altare, di colore rosso, che circondano il quadro della Madonna della Fiducia, ci ricordano, infine, quanta fecondità, vita e rinascita possano risplendere quando le nostre storie si uniscono all’Amore di Dio, scelgono di prendere parte alla Sua storia e accolgono la relazione con Lui, così come ci ha insegnato Gesù e come ha fatto Maria.



 

https://www.youtube.com/watch?v=8iC5hSN7MS4&t=123s

I ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi camminano!

 Buon Natale amici miei!


Siamo alle porte del Natale e la pandemia da Coronavirus continua ad esasperarci alimentando sfiducia e senso di smarrimento verso un avvenire che si prospetta incerto e scoraggiante. "Siate lieti bambini, sta per nascere il Salvatore!", ci insegnavano quando eravamo piccoli, e noi eravamo pieni di gioia.

Chi di noi aspetta ancora il Salvatore? Riteniamo di dover essere salvati? Ma chi è che salva, da cosa ci salva? Molti ritengono necessaria solo una salvezza che si risolva in un mutamento delle strutture e delle condizioni sociali, politiche e culturali. Ma siamo sicuri che sia sufficiente questo tipo di cambiamento e non sia necessario invece un cambiamento più profondo cha parta dal cuore dell’uomo? Chi potrà coprire la distanza che separa l’uomo perduto dal Dio vivente?

Tale capacità di Dio di raggiungerci è la stessa identità di Dio, Gesù Cristo, Il bambinello che nasce nella mangiatoia ci viene incontro affinché la nostra gioia sia piena! Accogliere questo annuncio significa accogliere la grazia divina e poter amare come non ci era possibile prima e sperimentare la felicità e la pienezza.

La grazia ci libera dalla schiavitù dell’egoismo che ci imprigiona nella paura del futuro, della precarietà e della morte. Questa è la grande speranza a cui siamo chiamati, la sola, unica, grande speranza a cui ogni uomo è chiamato, non solo i cristiani, l’umanità nel suo complesso. 

Lasciamoci sedurre dalla più alta Bellezza, la vera grande bellezza che supera la legge ed il dovere ed entra nella dimensione della gratuità e saremo servitori disposti a sperimentare il primato delle grazie spirituali e carismatiche sulle miserie e sulle paure del nostro tempo.

Allora saremo capaci di far vibrare l’anima dei nostri fratelli con la stessa bellezza che ha incendiato il nostro cuore condividendo con loro un orizzonte bello, nuovo e sorprendente. La fede svela l’uomo a sé stesso ricordandogli le fondamenta della sua grandezza, la verità profonda del suo essere e la prodigiosa novità di Cristo: “portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi “.

Buon Natale amici miei!

Francesco Astiaso Garcia

NON GIUDICARE !

 

Francesco Astiaso Garcia ©
                                                               Francesco Astiaso Garcia ©

Qualche giorno fa, mi è capitato di leggere uno studio aggiornato sulle attuali spese militari a livello internazionale. Immaginavamo un mondo postpandemia  meno bellicoso e invece le cose vanno di male in peggio. Le spese militari mondiali hanno raggiunto un nuovo picco, mai toccato dalla fine della Guerra Fredda. Soldi che sono stati sottratti a capitoli di spesa di massima necessità, in un momento i cui l’economia globale sta soffrendo moltissimo.

Il mondo non è mai stato più minacciato o più diviso, siamo sull’orlo di un abisso e ci muoviamo nella direzione sbagliata”, ha affermato un mese fa il segretario generale dell’ONU, Guterres. Vi ricordate i cartelli appesi alle finestre durante la pandemia: “Andrà tutto bene!!” Sembra proprio che non riusciamo ad imparare dall’esperienza!


Quello che ci manca veramente è l’empatia, la capacità di immedesimazione nelle necessità  dell’altro. A tal proposito c’è un significativo midrash ebraico che racconta di un dialogo tra due rabbini, uno chiede all’altro: “mi ami tu fratello?”, “certo che ti amo fratello mio!”, “ma tu conosci veramente quello che mi fa soffrire?”, “no, come posso conoscerlo!”. Conclude il primo: “se non sai cosa mi fa soffrire, non puoi amarmi veramente!”. Amiamo qualcuno solo se conosciamo in profondità le sue sofferenze, le sue angosce, e le facciamo anche nostre calandoci al suo posto. Ma siamo noi veramente interessati alle sofferenze e alle ingiustizie, ci sta a cuore il destino del mondo e degli uomini, o ci importa solo di noi stessi? C’è una bellissima canzone di Leon Gieco che dice: “Solo chiedo a Dio che il dolore non mi sia indifferente e che la morte non mi trovi vuoto e solo, senza aver fatto quanto sufficiente“.


Una cosa è certa: ingiustizia, diseguaglianze e iniquità producono ingiustizia, diseguaglianza e iniquità. A proposito delle catene d’odio e inimicizia, mi ha colpito molto la testimonianza di un giudice penale: “molto spesso le vittime di violenza li vediamo riapparire nelle stesse aule di tribunale come responsabili, a loro volta, di crimini violenti“. Parte della responsabilità di queste disuguaglianze e ingiustizie ricadono certamente sull’intera società che a sua volta pagherà lo scotto. Quando passiamo davanti ad un carcere, ci sfiora il pensiero che anche noi saremmo potuti essere lì, con una storia diversa, se le circostanze della nostra vita fossero state diverse? O pensiamo piuttosto di essere migliori di quelle persone cattive che si sono meritate il loro destino! Magari credessimo veramente di non essere migliori di nessuno!!


A qualcuno potrebbe sembrare antidemocratico e discriminatorio ma le cose fondamentali della nostra vita non sono il prodotto di una scelta: Non scegliamo il luogo dove nascere né i genitori da cui nascere; non scegliamo le doti naturali con le quali venire al mondo o i pesi da portare. Non possiamo slegare l’uomo dalla sua storia, dal suo vissuto dalla sua struttura psichica, dal contesto in cui si trova. Non tutti abbiamo ricevuto la stessa misura, e non a tutti verrà chiesta la stessa misura. Quanta confusione e superficialità quando si parla di merito; una non bene intesa cultura del merito ci spinge a pensare che la realizzazione e il successo dipendano dai propri sforzi. Ma sappiamo bene che non è così! Le conseguenze di questo equivoco sono gravissime perché non solo ci inducono a disprezzare chi porta pesi dei quali non ha nessuna responsabilità, ma ci spinge fino a vantarci di cose per le quali dovremmo metterci in ginocchio con la faccia a terra ringraziando Dio! Quando non riconosciamo più la nostra umanità negli altri, perdiamo anche la nostra.


Un grande artista come De André questo lo aveva capito molto bene; nella canzone “La città vecchia” racconta frammenti di vita di quello strano popolo dimenticato che vive presso le aree più malfamate della zona del porto di Genova: gli ubriachi che sfogano i loro dispiaceri nel vino, le prostitute e i loro clienti, i ladri, gli assassini e «il tipo strano che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano». La canzone termina con questi splendidi versi:

«Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo»

Quello di De André è un meraviglioso invito laico a non giudicare, ad andare oltre le semplici apparenze a cercare l’uomo nel profondo. Lo stesso De André commentando la sua canzone disse: “Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipendentemente dalla loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili. La psicologia ha fatto molto, la psichiatria forse ancora di più, però dell’uomo non sappiamo ancora nulla. Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell’errore”.


La sua canzone è dedicata agli ipocriti, ai benpensanti, ai moralisti sempre pronti a giudicare e puntare il dito, a chi si erige a giudice della vita degli altri senza conoscerne le sofferenze profonde, il vissuto e il bagaglio genetico; è dedicata a chi parla di pecore nere dando per scontato di appartenere al gregge delle pecore bianche. Quanto è importante entrare in questo mistero dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo, e in questo senso la bellezza e la poesia giocano un ruolo fondamentale. Papa Francesco ha detto: “Non si può educare senza indurre il cuore alla bellezza…un’educazione non è efficace se non sa creare poeti”. 

Come vivere la fraternità senza comprendere l’uomo!


Cos’è l’uomo perché te ne curi il figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero, eppure lo hai fatto poco meno degli Angeli, di gloria e di onore lo hai coronato” dice il Salmo. Magari imparassimo veramente a riconoscere la sacralità di ogni essere vivente, solo allora, una volta riconosciuta la nostra divina somiglianza, saremmo capaci finalmente di toglierci i sandali davanti alla terra sacra dell’altro.

La Mostra-Progetto FRATERNITÀ


VENERDÌ 12 NOVEMBRE alle ore 18:00 presso la Galleria d’Arte Medina, via Angelo Poliziano 32-34, Roma

sarà inaugurata la mostra FRATERNITÀ di 30 talentuosi artisti del “Salotto di Diotima”

il progetto si inserisce nel più ampio contributo degli artisti al Patto Educativo Globale voluto dal Papa



 In questo tempo di crisi, segnato dalla pandemia, da guerre, migrazioni, cambiamenti climatici e difficoltà economiche, riconoscerci fratelli è di vitale importanza! La fraternità nasce dalla consapevolezza del valore inestimabile d’ogni essere umano, della sua dignità e fragilità, della sua sacralità. L’autentica fraternità promuove ogni uomo e tutto l’uomo.

Veniamo da una stagione affascinata dal mito relativista nella quale si è fatta passare l’idea che per essere liberi si debba necessariamente sciogliere ogni legame, obbligazione o appartenenza. Il pensiero dominante di questa società progressista e laicizzata è stato caratterizzato dalla volontà di superare ogni dogma e certezza morale, in favore dell’autoaffermazione della piena libertà individuale, verso un sincretismo incolore che relativizza ogni credo. Le premesse di un tale modello si sono svelate ovviamente false e questo non può essere che un bene, ma oggi rischiamo di cadere in estremismi di segno opposto che portano all’integralismo identitario e sfociano facilmente in chiusura e fondamentalismo. Diffidiamo da chi, con la scusa di una presunta difesa degli interessi nazionali, alimenta nuovi egoismi sfaldando il senso sociale.

 

Dobbiamo evitare la dinamica degli estremismi e delle polarizzazioni che armano la disperazione portandoci alla logica dello scontro di civiltà; la nostra epoca necessita più che mai di dialogo e di sintesi, saremo capaci armonizzare le contraddizioni? Come diceva Dante Alighieri: “il contrario di un errore non è la verità ma l’errore di segno opposto “, la verità è dunque il sentiero stretto tra due errori di segno contrario.  Abbiamo bisogno di una nuova proposta culturale che sappia superare la paurosa contrapposizione tra l’universalismo senza identità e il localismo identitario; ciò a cui aspiriamo è l’unità non l’uniformità.

La storia insegna, quando manca il dialogo e la fraternità assistiamo a logiche di disgregazione, scarto e dominio, che indeboliscono o strumentalizzano i sentimenti di appartenenza. “Il mondo non è mai stato più minacciato o più diviso, siamo sull’orlo di un abisso e ci muoviamo nella direzione sbagliata”, ha affermato un mese fa il segretario generale dell’ONU, Guterres.

 

Speravamo che il mondo post pandemia sarebbe stato meno bellicoso e invece le cose vanno di male in peggio. Le spese militari mondiali hanno raggiunto un nuovo picco, mai toccato dalla fine della Guerra Fredda; denaro sottratto a capitoli di spesa impellenti!

La pandemia doveva liberare le nostre energie creative, invece rischiamo di essere più poveri e più cattivi; Una cosa è certa, al di fuori della fraternità non può esserci altro che la distruzione della dimensione sociale della convivenza umana. Cercare e promuovere la fraternità è dunque uno dei compiti attuali più urgenti e pressanti che deve coinvolgere necessariamente tutti gli attori della politica, dell’’economia, della cultura e delle religioni. Dobbiamo essere parte attiva nel sostegno delle società ferite, siamo corresponsabili della sorte di ognuno dei nostri fratelli.  Ora che la pandemia chiede un prezzo alto in termini di lutti, di restrizioni e di ricadute economiche e sociali, risulta ancora più facile solleticare con parole studiate il risentimento della protesta anti-sistema e del vittimismo di tanti.

 

Qui entrano in campo gli artisti, dopotutto la parola latina per arte è “ars” – la radice “ar” può essere tradotta con i termini “congiunzione”, unione; gli artisti sono i maestri dell’armonia, l’armonia è la scienza dell’equilibrio tra gli opposti, la bellezza si sa, non è assenza, bensì, equilibrio di contrasti. L’arte può aiutarci a scoprire l’umanità che ci accomuna superando le categorie e le etichette attraverso le quali giudichiamo e ghettizziamo con troppa facilità.

Papa Francesco ci ha proposto a modello la figura di Orfeo; Orfeo, per fuggire al canto ammaliatore delle sirene, intonò una melodia più bella; contro le urla dirette allo stomaco ci servono melodie che parlano al cuore…Orfeo suonò la sua lira, con tanta arte e veemenza che persino le sirene si fermarono ad ascoltarlo. In fin dei conti non si può educare senza indurre il cuore alla bellezza.

Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore, la logica dell’amore è l’unica capace di salvare il mondo. Come artisti siamo chiamati a dare acqua all’umanità, a far battere il cuore del mondo! Tutto ciò che è umano ci riguarda! La fraternità è il compimento dell’umanità stessa, la vera rivoluzione è quella che prende su di sé il dolore dell’altro, del diverso…nessuno si salva da solo! Del resto, la felicità, come la bellezza, dipende dalle relazioni, dai nostri legami con il creato e con il prossimo, con noi stessi e con il Creatore.

 

Come tradurre artisticamente e poeticamente queste riflessioni sociali e spirituali? Questa è stata la sfida con la quale ho voluto lanciare il PROGETTO FRATERNITÀ, per fare della mostra un’occasione preziosa di dialogo ed incontro, mai come oggi è il tempo dell’ascolto e del confronto.

“Convocate il pensiero” diceva Paolo VI, “Convocate le menti” sollecitava Dossetti, “Convocate gli artisti” aggiungo io, solo con loro potremo riaprire un dibattito alto, di idee e visioni!

Saranno stati capaci i 30 talentuosi artisti del Salotto di Diotima di intercettare la domanda di senso che abita il cuore degli uomini? Questo lo lasceremo giudicare a voi! Non mancate perciò all’inaugurazione della mostra FRATERNITÀ, venerdì 12 novembre alle ore 18:00 presso la galleria d’arte Medina, via Angelo Poliziano 32-34.

 

Il curatore della mostra, 

Francesco Astiaso Garcia





Restituiamo agli artisti la loro Vocazione!

 

Si se calla el cantor
Muere la rosa
¿De qué sirven las rosas sin el canto?

PULCHRITUDINIS STUDIUM HABENTES di Francesco Astiaso Garcia ©

La produzione artistica è condizionata dal mercato, dalla moda e dalle influenze di tendenza. Questo di per sé non è un male, lo diventa lì dove le dinamiche di mercato hanno il sopravvento sulla creatività e la produzione originale di un'artista, cioè quando un'artista finisce per dipingere non più quello che sente ma piuttosto quello che il mercato domanda. Andy Warhol amava ripetere che nell'ambiente artistico non si vende tanto la qualità della carne, quanto il rumore della bistecca sulla piastra. Dovremmo dedurne che più importante dell'arte stessa, è tutta l'operazione di marketing che le sta intorno.

Pierluigi Panza, autore del libro L'opera d'arte nell' epoca della sua riproducibilità finanziaria, afferma che il valore dell'arte contemporanea è disgiunto sia dai criteri di valutazione applicabili ad un'opera di artigianato, sia dai criteri di valutazione estetici che una critica fondata può attribuirgli...Per fare un affare bisognerebbe essere un insider e telefonare a chi muove le leve: Cosa compri il mese prossimo? ...la questione del valore artistico di un'opera non la stiamo nemmeno sfiorando."

Significative le parole del professore di psicologia Paul Bloom a proposito della contraffazione delle opere d'arte: "Si potrebbe credere che il piacere che traiamo da un dipinto derivi dal colore, dalle forme e dal disegno...se le cose stessero così non dovrebbe importare che si tratti di un originale o di un falso... ma il nostro cervello non funziona così. Quando ci viene mostrato un oggetto o offerto del cibo o mostrato un volto, il giudizio che ne diamo è profondamente condizionato dalle informazioni che l'accompagnano".

Qualcuno ha sollevato comprensibilmente la questione di etica artistica che implica l'utilizzare quattro studi e quaranta assistenti per produrre le opere di Damien Hirst che poi l'artista si limita a firmare. A tal proposito lo stesso Hirst ha detto: "Mi piace l'idea di una fabbrica che produce le opere, il che separa le opere dalle idee, ma non mi piacerebbe una fabbrica che produce idee".

Il vero dramma sorge quando ci troviamo davanti al vuoto, davanti all'assenza di tecnica e di contenuto originale, circostanza oggi tristemente frequente. Cosa rimane quando mancano le idee e l'esecuzione pratica, quando manca il mestiere e anche l'autentica intuizione? Rimane il brand, e soprattutto rimangono i soldi e il mercato...la speculazione che "move il sole e le altre stelle" e sterline...dell'arte. Il famoso economista Donald Thompson racconta in un suo libro sulle stravaganze dell'economia dell'arte contemporanea una storia molto significativa a proposito del brand di Hirst che riguarda A. Gill, giornalista del "Sunday Times":

Gill possedeva un vecchio ritratto di Iosif Stalin dipinto da un anonimo; l'aveva pagato 200 sterline. Nel 2007 Gill lo propose a Christie's per venderlo in un'asta infrasettimanale di minore importanza. La casa d'aste lo rifiutò dicendo che non trattava opere che ritraevano Hitler o Stalin..."E se si trattasse di uno Stalin di Hirst o di Warhol?", "In questo caso, naturalmente, saremo felicissimi di averlo". Gill chiamò Damien Hirst e gli chiese se avrebbe dipinto un naso rosso sul suo Stalin. Hirst accettò e aggiunse la sua firma sotto quel naso. Con la firma di Hirst, Christie's lo accettò e lo offrì per una stima tra le 8.000 e le 12.000 sterline. Diciassette rilanci dopo, il martello batté la cifra di 140.000 sterline. Dopotutto, si trattava di un Hirst autografo.

È evidente a tutti che oggi i nomi degli artisti hanno sempre più importanza e l'arte a cui sono associati sempre di meno; il 15 maggio 2001 una scultura di Jeff Koons che rappresenta la pop star Michael Jackson con la sua scimmia è stata venduta durante un'asta d'arte contemporanea per 5,6 milioni di dollari; si tratta di una cifra che Auguste Rodin, Henry Moore o Costantin Brancusi mai ricevettero per un'opera durante tutta la loro esistenza. Questo avviene quando collezionisti e investitori sono pronti a comprare con le orecchie anziché con gli occhi, attribuendo valore ad un'opera solo in base alla reputazione, a quello che se ne dice.

Nel 2007 il Louvre concesse il suo marchio al nuovo Louvre Abu Dhabi Museum per la modica cifra di 400 milioni di euro; la cosa più incredibile è che il costo del nome del museo fu di gran lunga più elevato di quello della costruzione della sua sede, per cui furono necessari "soltanto" 115 milioni di dollari...questa è la forza economica del brand nel mondo dell'arte! Mai sottovalutare l'importanza di chiamarsi Louvre... l'importanza di chiamarsi Hirst!

Potremmo continuare con una lista infinita di esempi ma ritengo questi più che sufficienti a dimostrare inconfutabilmente che il valore di un'opera oggi non scaturisce più da questioni estetiche e formali bensì da logiche di investimento e di status tiranneggiate dal mercato con il suo entourage di galleristi, azionisti e collezionisti. Indossare pantaloni firmati Armani, appendere nel proprio salone un Dalì e bere Chardonnay per molti è più importante di vestire bene, arredare la casa con gusto ed apprezzare un buon vino. Ma fin dove si può spingere ancora tutto questo? Dove sta andando il mercato dell'arte contemporanea con i suoi prezzi in continua crescita? Come può un'opera arrivare a costare 140 milioni di dollari? Molti ormai riconoscono che la risposta è legata ai meccanismi malati che hanno alzato la posta in gioco nel mercato dell'arte gonfiato da grandi capitali e alimentato da dosi massicce di egocentrismo. Siamo giunti al punto in cui la storia dell'arte può essere riscritta facilmente da un collezionista con buone possibilità economiche. 

Mi ha colpito molto l'onestà della dichiarazione dell'ex direttore del Metropolitan Museum of Art Thomas Hoving: "Pochi professionisti del settore ammettono che oggi il mondo dell'arte è un nuovo, attivissimo, amorale mondo del falso".

La nostra società consumistica sottovaluta, svilisce, distorce il significato della bellezza, degradando ogni cosa a valore di scambio o di conquista, a strumento per produrre inganno, adulazione, dominio. In arte come in politica dobbiamo fuggire l'errore di pensare che la più alta ricompensa sia il consenso. L'onore non coincide con la reputazione; l'onore dipende dalle virtù della persona, non da quello che pensano gli altri. La nostra società senza onore, è basata sulla reputazione; Trovo drammaticamente attuali le parole di Blaise Pascal: "Diventeremmo di buon grado vigliacchi pur di essere stimati coraggiosi". I poteri forti condizionano le masse con un duplice fine: il consumo e il consenso. E gli artisti oggi che fanno? per lo più si adeguano

Le alternative richiedono un'enorme capacità di sacrificio e un'etica che disprezzi il successoCosa ci può essere oggi meno di moda di un'etica che disprezza il successo? Ogni sistema iniquo produce scarti, e il sistema dell'arte non fa eccezione. Sono troppi gli artisti che smettono di dipingere per difficoltà economiche; sono finiti i tempi dei grandi mecenati, oggi è molto difficile poter vendere e guadagnare con l'arte anche quando si è dotati di un vero talento; oltretutto sono molte e sostanziose le spese da dover affrontare per poter portare avanti un lavoro artistico professionale. È necessaria una forza d'animo grande e una caparbietà risoluta per non cedere alle pressioni sociali ed economiche che spingono ad abbandonare i propri sogni e il proprio talento! La grandezza dell'uomo si misura in base a quel che cerca e all'insistenza con cui egli resta alla ricerca, affermava Martin Heidegger, Nelson Mandela disse invece: Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso!

Dopotutto chi è l'artista nel nostro immaginario collettivo? L'artista è colui che esce dagli schemi, colui che sa liberarsi da peso della cultura dominante, che sa vivere in proprio rompendo con tutte le convenzioni, le ipocrisie, le gabbie di normalità che gravano come macigni su tutte le società. Quali sono allora, mi chiedo, gli schemi che oggi dobbiamo rompere, quali le convenzioni e le gabbie di normalità da cui ci dobbiamo affrancare per rimanere liberi come uomini e artisti?

Ho trovato di grande ispirazione il libro di Tzvetan Todorov, "L'arte nella tempesta" o nella versione francese "Il trionfo dell'artista". Il libro affronta la vicenda degli artisti russi all'epoca della rivoluzione d'ottobre. Scrive Todorov: I detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali, provenienti dalle opere prodotte da questi artisti...Senza queste opere l'umanità non potrebbe sopravvivere, né allora né oggi. È qui il trionfo dei fragili eroi del nostro racconto.

Quanto sarebbe bello restituire agli artisti la loro vocazione di fragili eroi; da qui vorrei ripartissimo, dai valori estetici, etici e spirituali senza i quali l'umanità non potrebbe sopravvivere, dalla bellezza attraverso la quale il mondo si salva! Affermiamo ed amiamo la bellezza, in essa s'incarna il senso della vita che non perisce, si tratta di salvare l'umano nell'uomo, di salvare il senso stesso della vita umana contro il caos e l'assurdo. Il mondo ha bisogno di sognare e se gli artisti i musicisti e i poeti smettono di farlo, chi potrà continuare ad alimentare i sogni! 

Si se calla el cantor calla la vida dice una meravigliosa canzone di Horacio Guarany.

Se è vero che la bellezza salverà il mondo, salvare la bellezza è una grave responsabilità collettiva!  L'artista deve rivolgersi a tutti, e a ciascuno offrire consolazione e speranza, deve aprire orizzonti dove sembra che non ce ne siano più, scuotere il mondo anestetizzato da un'indifferenza che non permette più di vedere la sofferenza degli altri. L'umanità ferita è alla ricerca della bellezza, alleviarne le ferite vale più di qualsiasi brand di tendenza e di ogni certezza economica!

Francesco Astiaso Garcia


Si se calla el cantor
Calla la vida
Porque la vida, la vida misma es toda un canto
Si se calla el cantor
Muere de espanto
La esperanza, la luz y la alegría
Si se calla el cantor
Se quedan solos
Los humildes gorriones de los diarios
Los obreros del puerto se persignan
¿Quién habrá de luchar por sus salarios?
¿Qué ha de ser de la vida, si el que canta
No levanta su voz en las tribunas
Por el que sufre, por el que no hay ninguna
Razón que lo condene a andar si manta?
Si se calla el cantor
Muere la rosa
¿De qué sirven las rosas sin el canto?
Debe, el canto, ser luz
Sobre los campos
Iluminando siempre a los de abajo
Que no calle el cantor
Porque el silencio
Cobarde, apaña la maldad que oprime
No saben los cantores de agachadas
No callarán jamás
De frente al crimen
¡Que se levanten todas las banderas
Cuando el cantor se plante con su grito!
¡Que mil guitarras desangren en la noche
Una inmortal canción al infinito!
Si se calla el cantor
Calla la vida

Compositore: Horacio Guarany

TRADUZIONE

Se tace il cantante, la vita tace

perché la vita, la vita stessa è tutta un canto.

Se tace il cantante, muoiono di spavento

la speranza, la luce e la felicita.

 

Se tace il cantante, rimangono soli

gli umili passerotti del quotidiano.

Gli operai del porto si segnano.

Chi lotterà per loro stipendio?

 

“Cosa sarebbe la vita se chi canta

non alza la voce in tribuna

per chi soffre, per chi senza motivo

è condannato a andare senza protezione.”

 

Se il cantante tace, la rosa muore

a che cosa serve la rosa senza il canto?

Il canto deve essere luce sui campi

illuminando sempre quelli in basso.

 

Che non si tacesse il cantante ché il silenzio

vigliacco conviene alla malvagità che opprime

Nulla sappiano i cantanti delle bassezze

Non taceranno mai di fronte al reato.

 

(parlato)

“Che si alzino tutte le bandiere

quando il cantate si erge col suo grido

Che sanguinano da mille chitarre nella notte

una canzone eterna nell'infinito.”

 

Se il cantante tace... la vita tace


L'INCUBO PIU' BELLO

Nelle ultime settimane ho fatto molti sogni della maggior parte dei quali ricordo poco o nulla, altri li ricordavo appena sveglio, ma una volta mescolati con la vita, li ho scordati: c'è solo un sogno, o meglio un incubo che proprio non riesco a dimenticareSuggestionato dalla situazione di guerra in Afghanistan e profondamento impressionato dalle sofferenze di migliaia di persone ho sognato di essere un profugo costretto a lasciare tutto con moglie e figli al seguito, a causa di una guerra improvvisa; rimane vivido nella mia mente il sentimento di drammatico sradicamento che accompagnava il nostro peregrinare senza meta mentre i miei figli domandavano insistentemente: e adesso che facciamo, dove andiamo papà?

Al risveglio ero fortemente scosso, la mia felicità nello scoprire che si fosse trattato solo di un sogno è stata subito accompagnata da un terribile senso di colpa verso chi realmente si trovava in quelle drammatiche circostanze!

Quant'è complicata la capacità di immedesimazione, mettersi nei panni degli altri è molto più difficile di quanto si pensi a partire dalle situazioni più semplici; mi colpisce per esempio, constatare nel traffico romano, l'indignazione dei pedoni per la prepotenza di chi alla guida non si ferma sulle strisce, per poi, nella maggior parte dei casi, fare lo stesso una volta saliti in automobile. Se siamo incapaci di immedesimazione nelle circostanze più banali, immaginiamo nelle questioni più importanti; com'è difficile sentire sincera empatia e compassione per chi combatte battaglie a migliaia di chilometri e fugge da nemici che non vedremo mai, abbandonando figli che non sono i nostri.

È stato uno degli incubi più belli che abbia mai fatto, un incubo che ha scalfito almeno in parte la mia incapacità di compassione, permettendomi per una notte, di vivere un assaggio, quasi reale, del dramma di tanta povera gente. È stato allora che ho sentito il desiderio di fare qualcosa, di prendere almeno un'iniziativa, così assieme al mio amico Filippo abbiamo pensato di organizzare un pomeriggio di condivisione, speranza e spensieratezza con la comunità afgana di Macerata, è stata una piccolissima cosa che ha portato tanta gioia e un forte sentimento di fratellanza che nasce dallo stare insieme.

Il momento forse più emozionante è stato cantare con tutti quei bambini afghani la canzone di Josè Luis Perales "Que canten los niños", una preghiera che si alza dalla voce dei più piccoli che cantano anche per quei bambini che non possono più cantare, perché hanno spento la loro voce!



#AfghanWomenExist
#TogetherWeStand
#AfghanistanIsCalling

La Vita è un Soffio


"La Bellezza che fugge" - matita su pioppo - Francesco Astiaso Garcia ©


Quando penso allo scorrere del tempo e alla fugacità della bellezza sempre mi torna in mente la casa di cura a Madrid dove mio nonno ha dovuto trascorrere gli ultimi due anni della sua vita.

Un giorno entrando nella residenza, rimasi colpito da una bellissima mostra di fotografie in bianco e nero esposte lungo tutto il corridoio che conduceva alla grande sala dove gli anziani ospiti trascorrevano la maggior parte del tempo.

Tutte le fotografie rappresentavano volti di uomini e donne nel fiore della giovinezza, quanta bellezza in quegli occhi brillanti, in quei sorrisi pieni di fiducia, di sogni e di speranze.

Sono rimasto a lungo ad ammirare quelle foto sbiadite dal tempo, finché, giunto quasi alla fine del corridoio, chiesi curioso ad un’infermiera chi fosse l’autore di quelle fotografie e chi fossero i soggetti rappresentati, mi rispose sorridendo: “le persone ritratte sono i nostri ospiti quando avevano all’incirca vent’anni…se guardi bene c’è pure tuo nonno”.

Nel frattempo ero arrivato, aperta la porta del salone, eccoli lì quei ragazzi e quelle ragazze, 60 o 70 anni dopo, la maggior parte di loro in sedie a rotelle, ripiegati sotto il peso degli anni e della malattia…com’erano cambiati quei volti, com’erano diversi quegli occhi segnati dalle prove della vita, quanto velocemente era svanita la bellezza della giovinezza, quanto superficiale e vano il mio narcisismo.

La bellezza della giovinezza è forse proprio questa: un attimo fugace in cui ci illudiamo di essere eterni!




I BAMBINI CI GUARDANO

 

“Lo sguardo dei bambini sul mondo:

uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male.

GLI OCCHI DEI BAMBINI

Che cosa facciamo perché i bambini possano guardarci sorridendo e conservino uno sguardo limpido, ricco di fiducia e di speranza? Che cosa facciamo perché non venga rubata loro questa luce, perché questi occhi non vengano turbati e corrotti?”

 

Alcuni stralci delI’intervista a Papa Francesco «Cinema, sguardo di vita», di Dario Edoardo Viganò:

 

I film del neorealismo ci hanno formato il cuore e ancora possono farlo. Direi di più: quei film ci hanno insegnato a guardare la realtà con occhi nuovi: il valore universale di quel cinema è la sua attualità quale importante strumento per aiutarci a rinnovare il nostro sguardo sul mondo.

Quanta necessità abbiamo oggi d’imparare a guardare! La difficile situazione che stiamo vivendo, segnata a fondo dalla pandemia, genera preoccupazione, paura, sconforto: per questo servono occhi capaci di fendere il buio della notte, di alzare lo sguardo oltre il muro per scrutare l’orizzonte.

Oggi è tanto importante una catechesi dello sguardo, una pedagogia per i nostri occhi spesso incapaci di contemplare in mezzo all’oscurità la “grande luce” (Is 9,1) che Gesù viene a portare. Una mistica del nostro tempo, Simone Weil, scrive: «La compassione e la gratitudine discendono da Dio, e quando vengono donate attraverso uno sguardo, Dio è presente nel punto in cui gli sguardi s’ incontrano». Ecco perché la riflessione sullo sguardo apre alla trascendenza. Come sarebbe bello riscoprire attraverso il cinema l’importanza dell’educazione allo sguardo puro. Proprio come ha fatto il neorealismo.

 

Quello neorealista è uno sguardo che provoca la coscienza. I bambini ci guardano è un film del 1943 di Vittorio De Sica che amo citare spesso perché è molto bello e ricco di significati. In tanti film lo sguardo neorealista è stato lo sguardo dei bambini sul mondo: uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male. Ricordo le parole del mio fratello Hieronymos, arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, a proposito di una delle realtà più dure del nostro tempo: «Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la “bancarotta” dell’umanità» ( Discorso nel Campo profughi di Moria, Lesbos, 16 aprile 2016).

In molte occasioni e in tanti Paesi diversi, i miei occhi hanno incontrato quelli dei bambini, poveri e ricchi, sani e malati, gioiosi e sofferenti. Essere guardati dagli occhi dei bambini è un’esperienza che tutti conosciamo, che ci tocca fino in fondo al cuore e che ci obbliga anche a un esame di coscienza. Il cinema neorealista ha universalizzato questo sguardo dei bambini: il loro sguardo, che è molto di più di un semplice punto di vista, ci interroga tanto più oggi che la pandemia sembra moltiplicare le bancherotte dell’umanità.

Che cosa facciamo perché i bambini possano guardarci sorridendo e conservino uno sguardo limpido, ricco di fiducia e di speranza? Che cosa facciamo perché non venga rubata loro questa luce, perché questi occhi non vengano turbati e corrotti?

 

Guardare non è vedere…Vedere è un atto che si compie solo con gli occhi, per guardare occorrono gli occhi e il cuore… È la qualità dello sguardo a fare la differenza…La capacità di acquisire uno sguardo che sa mettere in relazione è, dunque, la chiave per una comunicazione autentica e lo è tanto più in questa stagione difficile della pandemia, in cui il contatto virtuale predomina spesso sul contatto reale.

Uno sguardo che tocca la realtà, ma anche il cuore, è uno sguardo che la realtà la trasforma…Non è uno sguardo che ti lascia dove sei, ma è uno sguardo che ti porta su, che ti solleva, che ti invita ad alzarti. Il cinema neorealista ha avuto questo potere, proprio della grande arte, di saper cogliere nell’inverno ciò che era già primavera. È uno sguardo che nelle tenebre custodisce il gusto e il senso della luce. È uno sguardo di svelamento:

là dove noi non vediamo che un limite, l’occhio del poeta e dell’artista costruisce passaggi, apre brecce negli sbarramenti, scorge i segni di una realtà più bella e più grande. Abbiamo tanto bisogno di questo sguardo.

 

È questa la lezione che possiamo apprendere dalla scuola di umanesimo del neorealismo: uno sguardo che provoca la coscienza, che mette in relazione, che fa germogliare. Una pedagogia per gli occhi che cambia il nostro sguardo miope avvicinandolo allo sguardo stesso di Dio.

Papa Francesco

 

(l’intervista è uscita in forma integrale su Avvenire domenica 18 luglio 2021)

Ci vuole Fantasia

 

FANTASIA
                                                           LA FANTASIA DEI BAMBINI


Recentemente Papa Francesco ha ripreso da Jorge Luis Borges l’immagine molto suggestiva del labirinto per raccontare la ricerca di una via di senso e di libertà in un mondo che fatica ad alzarsi dalla pandemia e da tutte le sue conseguenze economiche e sociali.

Per uscirne, suggerisce Papa Francesco, è necessario seguire “il filo d’Arianna della creatività che i credenti leggono come opera dello Spirito che ci chiama fuori da noi stessi”.

Mi è piaciuta tanto questa immagine del filo d’Arianna della creatività perché chiama in causa gli artisti, i sognatori e i poeti. Dio sa quanto abbiamo bisogno di creatività e fantasia, i bambini e i pazzi ne sono colmi e gli artisti ne fanno la loro vocazione. Fare arte significa immaginare l’impossibile, sognare mondi sconosciuti, varcare la soglia del reale e del tempo, entrare nell’oceano infinito della creatività alla ricerca del sesto continente.

L’arte non è un mestiere per chi sa dipingere o scolpire, l’arte è un mestiere per sognatori, per coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, e lo cambiano davvero! L’immaginazione è l’umile ma ostinata pretesa di poter cambiare le cose sognandole migliori.

Sono note le parole dello scrittore irlandese Gorge Bernard Shaw: C’è chi guarda alle cose come sono e si chiede “Perché?”. Io penso a come potrebbero essere e mi chiedo “Perché no!”.

L’artista si sa ha tanti difetti, ma una cosa è certa, non lo sentirete mai dire: Si fa così perché si è sempre fatto così! No questo non lo dirà mai. Il poeta è in attesa costante dell’imprevedibile, dell’arcobaleno di notte o di un corvo bianco. La sua capacità di visione può ribaltare completamente il nostro punto di vista e aprirci prospettive inimmaginabili capaci di infiammare il mondo e cambiare il corso della storia.

Quanta forza visionaria nelle parole di Steve Jobs: “Questo messaggio lo dedichiamo ai folli. A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Potete citarli. Essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potete fare è ignorarli. Perché riescono a cambiare le cose. E mentre qualcuno potrebbe definirli pazzi, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero!”.

Ci sono persone che hanno bisogno di un cammino battuto, un sentiero tracciato che indichi loro passo per passo la strada da seguire e pensano che solo seguendo punto per punto i manuali preconfezionati otterranno qualche risultato, come se ci fosse un’unica mappa ad indicare la strada.

Quanta bellezza nei versi di Machado: “Viandante sono le tue impronte la via e nulla più: Viandante non c’è un cammino, il cammino si fa camminando”.

Che differenza può esserci tra un pittore e un’artista? La stessa che c’è tra chi impara a fare la torta di mele e uno Chef. Oggi necessitiamo più di ieri dell’arte e degli artisti, abbiamo bisogno di visioni che non si lascino rinchiudere da una logica dominante, dai differenti pensieri unici che se la prendono con il pensiero unico! Ci avete fatto caso il pensiero unico dominante è sempre quello degli altri

E allora con le parole di Justine Hurwitz:

“Brindiamo ai ribelli, ai pittori, e ai poeti, brindiamo ai folli che sognano, pazzi quanto possono sembrare; Brindiamo ai cuori che soffrono, un po’ di follia è la chiave per darci nuovi colori da vedere e chi sa dove ci porterà questo? Ecco perché avete bisogno di noi. Quindi brindiamo ai ribelli, ai pittori, e ai poeti!”

Una melodia più bella


Una comunicazione capace di armonizzare voci distinte

Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce”.

Quanta forza e attualità in queste celebri parole pronunciate da San Nilo.

In questo tempo segnato da paura, sconcerto e insicurezza il nostro impegno come Unione Cattolica Artisti Italiani è quello di promuovere un’arte che si faccia portatrice di un messaggio di pace, speranza e verità, una risposta alle ideologie e ai populismi che tornano a confondere e a mentire chiudendoci il cielo con una cappa di sfiducia e paura.

Dopotutto la parola latina per arte è “ars” – la radice “ar” può essere tradotta con i termini “congiunzione”, unione, gli artisti sono i maestri dell’armonia, l’armonia è la scienza dell’equilibrio tra gli opposti. L’arte è la più alta forma di comunicazione e se illuminata da una sapienza onesta, audace e creativa può costituire un potente mezzo di verità e di anti-propaganda; nazionalismi, dittature e regimi totalitari si sono diffusi e instaurati attraverso una comunicazione pervertita e menzognera.

Abbiamo bisogno di una comunicazione che sappia armonizzare voci distinte, una comunicazione rivolta alla riconciliazione, al dialogo, alla comprensione e al perdono.  Non abituiamoci alla voce di un mondo che grida e fa coincidere diversità e conflitto! Dobbiamo evitare la dinamica degli estremismi e delle polarizzazioni perché la nostra epoca necessita di dialogo e di sintesi.

Come diceva Dante Alighieri: “il contrario di un errore non è la verità ma l’errore di segno opposto“. La verità è il sentiero stretto tra due errori di segno contrario. Le diverse dimensioni di un problema globale ci espongono alla tensione tra estremi. “Costruire ponti che favoriscano lo sviluppo implica il coraggio di conoscere le sponde e di attraversare il fiume turbolento delle divisioni e delle polarizzazioni“.

 

Guai a chi incita alla paura o la sfrutta!

La paura può farci diventare sconsiderati, aggressivi e irragionevoli; guai a chi incita alla paura o la sfrutta!

Martin Luther King disse: “Un giorno la paura bussò alla porta; Il coraggio andò ad aprire. Non c’era nessuno“. Dobbiamo fuggire come la peste la retorica dello scontro di civiltà; Non ci può essere bellezza se manca la piena consapevolezza del valore inestimabile d’ogni essere umano, la bellezza è il faro che illumina la dignità, la fragilità, la sacralità di ogni essere vivente.

Il crollo delle Torri Gemelle e l’arrivo della crisi economica hanno favorito il populismo anche fra i credenti; la semplificazione e l’impoverimento culturale non aiuta a discernere i segni dei tempi. In un contesto dove mancano valori di riferimento, diventa più facile trovare elementi di divisione più che di coesione. Non ha più molto senso oggi parlare di destra e di sinistra, mi è piaciuto a tal proposito quello che ha scritto Jean Paul Michéa: “La destra del denaro e la sinistra dei valori si incontrano al centro, luogo degli affari e del potere”.

È grave la diffusione e la banalizzazione dell’egoismo a cui siamo arrivati…è ancora più grave che anche tanti cattolici sono ingannati su questo: “Prima gli Americani“, “Prima gli Italiani“, Prima io, Prima io! Siamo cristiani! Com’è possibile che ci facciamo confondere così!

Negli Atti degli Apostoli (10, 34-35) San Pietro dice: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto”.

Tanti Padri della Chiesa lo hanno ribadito: meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo.

Oggi ancor più di ieri è indispensabile l’informazione e la conoscenza per poter distinguere la competenza e l’onestà intellettuale dalla semplicioneria e dalla mala fede. Dobbiamo saper riconoscere la cialtroneria per poterla smascherare; Non è democrazia quella che mette sullo stesso piano d’informazione la competenza e la cialtroneria, il sapere affidabile e le idee inaffidabili, dando loro uguale autorevolezza. Presentare competenza e incompetenza sullo stesso piano non è mettere i cittadini in grado di decidere, è rendersi complici della dilagante disinformazione scientifica virale.

 

Le piattaforme sociali e l’arte che parla al cuore

Uno studio dimostra come i social media usano algoritmi per attivare emozioni come la rabbia, l’indignazione e la paura che portano a restare connessi e attivi; veleni e rabbia generano molto traffico e in tanti guadagnano con le fake news equiparate a notizie vere, qualcuno lo chiama algoritmo dello sciacallo, lo sciacallo si sa, lucra approfittando del malessere e dello smarrimento di tutti; la storia insegna: una menzogna ripetuta più volte diventa una verità, e questo lo sanno molto bene i poteri politici ed economici che applicano il divide et impera.

Perciò è necessario studiare, approfondire, comparare!

L’era della comunicazione rischia di coincidere con quella dell’incomunicabilità; e il boom delle informazioni a portata di click con la mancanza della sapienza necessaria per leggere e raccontare il senso di ogni storia.

Ripeteva Lorenzo Milani ai suoi allievi: “Voi, non sapete leggere la prima pagina del giornale, quella che conta, e vi buttate come disperati sulle pagine dello sport. È chi comanda che vi vuole così, perché chi sa leggere la prima pagina del giornale sarà domani il padrone del mondo”.

Per avere successo bisogna semplicemente amplificare notizie semi-veritiere, viralizzandole e facendole diventare cultura condivisa…prova poi a convincere del contrario quei 500 mila utenti che hanno condiviso un post di dubbia veridicità. Le bugie e l’odio non sono certo nati con il web ma non possiamo sottovalutare l’incremento nella sua diffusione senza controllo.

Il primo areopago del tempo moderno è rappresentato dalle piattaforme online che attraverso i mezzi di comunicazione sociale stanno unificando l’umanità rendendola un villaggio globale. La realtà cede il passo a ciò che di essa viene mostrato. Perciò la ripetizione continua di informazioni scelte diventa un fattore determinante per creare un’opinione considerata pubblica.

Tutto questo ci dà la misura della nostra responsabilità e ci invita ad una nuova creatività per raggiungere quelle centinaia di milioni di persone che dedicano quotidianamente buona parte del loro tempo alle comunicazioni sociali su internet. Queste recenti immense potenzialità costituiscono una sfida decisiva per il mondo di oggi e la posta in gioco è di grande importanza.

Dobbiamo evitare di strumentalizzare le grandi questioni come l’immigrazione, l’accoglienza o i diritti sociali per riaffermare sempre e solo specifiche convinzioni personali ricorrendo a numeri fasulli e letture faziose e semplicistiche dei fatti. Ovviamente i politici sono i primi chiamati in causa perché la loro voce può produrre con effetto esponenziale legioni di odiatori, specie in Paesi segnati dall’analfabetismo funzionale.

Papa Francesco ci ha proposto la figura di Orfeo a modello; Orfeo, per fuggire al canto ammaliatore delle Sirene, intonò una melodia più bella; contro le urla dirette allo stomaco ci servono melodie che parlano al cuore…Orfeo suonò la sua lira, con tanta arte e veemenza che persino le sirene si fermarono ad ascoltarlo. “Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione”.