Non accontentiamoci di dipingere come Raffaello

Durante gli anni dell' Accademia ho conosciuto un uomo speciale, un pianista, un'artista come pochi, il Maestro Antonello Neri.
Allora io avevo vent' anni e lui era già un musicista affermato di fama internazionale.
Ho frequentato il suo corso (facoltativo) per due anni indimenticabili e decisivi per la mia formazione.

Durante le sue "lezioni" si respirava pura poesia accompagnata dalla sua capacità di trasmettere un'emotività vibrante che accendeva l'entusiasmo di noi giovani romantici.

Antonello è uno dei pianisti e compositori con maggiore talento e virtuosismo tecnico che ho conosciuto ma la cosa più sorprendente è la sua libertà, il suo coraggio, la sua capacità di rompere gli schemi!

Non si è mai accontentato di "suonare bene", lui ha sempre cercato di più, desiderava andare oltre, spingere la ricerca del suono oltre i limiti conosciuti.

Qualche volta suonava per noi Chopin o Beethoven deliziandoci con delle esecuzioni perfette, subito dopo con lo stesso pianoforte era capace di ricreare i suoni e l'atmosfera del temporale strofinando nelle corde oggetti di vetro, banconote e metalli.

Non ha mai voluto insegnarci le tecniche o i segreti dell'arte in se  ma l' approccio e la maniera d'intendere l'arte stessa.

 Perchè come dice Antoine de Saint-Exupery "Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito".
                                                                                                  
Qual'è il rischio maggiore per un'artista che sa suonare o dipingere molto bene? Accontentarsi, autolimitarsi.

Chi sa suonare come Einaudi o Rachmaninov deve suonare come Einaudi o Rachmaninov e chi è capace di dipingere come Raffaello o Caravaggio deve dipingere come Raffaello o Caravaggio! Giusto?

Sbagliato! E' proprio questo il punto. Se così fosse non sarebbero esistiti gli impressionisti o i Pink Floyd.

Senza neppure rendercene conto limitiamo l'arte all'esecuzione tecnica e artigianale dell'opera secondo i canoni conosciuti ma l'arte deve essere molto di più!

Anche il talento può diventare la tela che imprigiona l'artista, stretto nelle maglie dell' autocompiacimento e del desiderio che tutti comprendano e tutti amino quello che sa fare.

Alla conclusione del secondo anno Accademico, Antonello realizzò una performance che non potrò più scordare:
Di fronte a tutti i giovani studenti dell'Accademia delle Belle Arti di Roma, distrusse il suo Pianoforte a coda lasciandolo scivolare giù per le scale e registrando con microfoni di assoluta precisione il tremendo frastuono che ne scaturì.

E' stata un'esperienza sonora incredibile che rappresenta per me una delle eredità più preziose della mia formazione come artista.

Come sarebbe, in che consiste quest'eredità?
Per essere un' artista occorre saper sacrificare tutte le nostre certezze, rinunciare a quello che ci hanno insegnato e sempre e comunque osare, osare, osare!

Se si è pianisti bisogna aver il coraggio di distruggere il pianoforte, se si è pittori dobbiamo avere il coraggio di tagliare la tela, di bruciarla, di lanciare un secchio di colore sopra un disegno virtuoso che piace a tutti!

Non ci può essere arte senza rischio, senza inquietudine, senza ricerca e messa in discussione continua e totale, perchè l'artigianato conferma la cultura l'arte la mette sempre nuovamente in discussione.

Questo qui sotto è un dipinto di Gerard Richter, forse il più grande artista vivente.
Gerhard Richter è capace di dipingere come Raffaello ma non si accontenta di questo, vuole di più, cerca di più!

La candela non è una foto, è magistralmente dipinta, (sono andato a Vienna con la macchina per vederla dal vivo) eppure Richter non ha avuto paura di rovinarla, così spiazzando tutti ha applicato sul quadro una stesura di colore nero sacrificando uno splendido dipinto classico.

Se Gerhard Richter fosse un pianista sono certo che avrebbe distrutto il suo pianoforte come Antonello.
In fin dei conti nel dipinto qui sotto riportato ha dimostrato lo stesso coraggio, senza il quale non avrebbe regalato al mondo i suoi meravigliosi quadri astratti e informali, quelli che lo hanno reso fondamentalmente Gerhard Richter:


DIPINTO DI GERARD RICHTER
DIPINTO FIGURATIVO DI GERARD RICHTER
DIPINTO ASTRATTO DI GERARD RICHTER


DIPINTO ASTRATTO DI GERARD RICHTER

DIPINTO DI GERARD RICHTER

L' artista cieco e la luce che occhio non vede

"Io conoscevo un uomo che era cieco. Quando arrivò all'età di 40 anni si fece fare un'operazione e riacquistò la vista. All'inizio era... felice... incantato... facce, colori, paesaggi. Ma poi tutto cominciò a cambiare. Il mondo era molto più brutto di come se l'era immaginato. Nessuno gli aveva mai detto quanto sporco fosse. Quanta miseria. Vedeva squallore dappertutto. Quando era cieco attraversava la strada da solo con un bastone. Dopo aver riacquistato la vista, lo prese la paura. Cominciò a vivere nell'oscurità. Non usciva più di casa. Dopo tre anni si tolse la vita." 

Tratto dal film di Michelangelo Antonioni, "The passenger", con Jack Nicholson e Maria Schneider

Diversi anni fa  ho avuto la fortuna di conoscere di persona il grande regista Michelangelo Antonioni, ormai parlava poco, era  molto vecchio e costretto in una sedia a rotelle.

Abbiamo visto insieme il suo film "The passenger" e non so per quale motivo mi è rimasto impresso il monologo che ho riportato all' inizio di questa storia.

Qualche anno dopo la  morte di Antonioni ho conosciuto un pittore abruzzese che aveva dedicato tutta la vita alla pittura e alla scultura ricercando sempre la bellezza e tutto ciò che potesse allietare la vista.

Poi un giorno verso i 40 anni fu colto improvvisamente da una malattia degli occhi e divenne cieco. 
Senza la vista e senza la pittura la vita per lui aveva perso il senso...
così entrò in una terribile depressione che lo portò per un lungo tempo a non voler più uscire di casa.

Qualche volta accettò di accompagnare la moglie a messa e poco a poco, ascoltando la Parola e l' annuncio del Vangelo, cominciò a scoprire la fede e a mettere in discussione tutte le sue convinzioni e le sue certezze.

Mi parlò della conversione come di una maschera che cade.
Si era illuso per anni che la sua realizzazione come persona dipendesse dalla sua arte e dal successo umano del suo lavoro, e solo ora che suo malgrado aveva dovuto abbandonare la pittura, cominciava a capire quanta vanità e quanta illusione ci fosse dietro al suo sogno d'artista.

Per anni aveva trascurato la moglie e i figli, si era chiuso nel suo lavoro e non aveva visto e compreso il dolore delle persone che gli erano accanto, esisteva solo lui e la sua pittura, per gli altri non aveva mai trovato il tempo.

Non potrò mai scordare quando mi disse :

 "Io vedevo ma ero cieco, ora sono cieco ma ci vedo, Dio mi ha aperto gli occhi attraverso la mia cecità "


L'artista cieco (Francesco Astiaso Garcia 2003)