Lo Sguardo dell'Artista - la visione poliedrica

Papa Francesco agli artisti:

"Il vostro è per citare Paul Claudel un occhio che ascolta. L'arte è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell'uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e di capire le cose. E in questo senso lo stesso Vangelo è in sè una sfida artistica, con una carica rivoluzionaria che voi siete chiamati ad esprimere grazie al vostro genio con una parola che protesta, chiama, grida. Oggi la Chiesa ha bisogno della vostra genialità, perchè ha bisogno di protestare, chiamare, gridare"

Autoritratto a matita 


Alcuni estratti del discorso di Papa Francesco ai cappellani e responsabili della pastorale universitaria (Città del vaticano, 24 novembre 2023) 

Il modello deve essere il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Esort. ap. Evangelii Gaudium, 236).

Il Vangelo si incarna così, permettendo alla sua coralità di risuonare in modo diverso nelle vite delle persone, come un’unica melodia capace di esprimersi con timbri differenti.

Il poliedro non è una figura geometrica facile. A differenza della sfera, che è liscia e comoda da maneggiare, è spigoloso e anche tagliente: ha un che di urtante, proprio come la realtà, a volte. Tuttavia, proprio questa complessità è alla base della sua bellezza, perché gli permette di riverberare la luce con tonalità e gradazioni diverse, a seconda dell’angolatura di ogni singola faccia.

Una sfaccettatura restituisce una luce nitida; un’altra più sfumata; un’altra ancora un chiaroscuro. Non solo: con le sue molteplici facce un poliedro può produrre anche una diversificata proiezione di ombre. Avere una visione poliedrica, allora, implica allenare gli occhi a cogliere e apprezzare tutte queste sfumature.

Se in un solido geometrico si tolgono gli spigoli e si cancellano le ombre, lo si riduce a una figura piatta, senza spessore e senza profondità. E oggi vediamo delle correnti ideologiche dentro la Chiesa, dove la gente va e finisce per ridursi a una figura “piatta”, senza sfumature… Ma se una persona si valorizza con sapienza per ciò che è, se ne può ricavare un’opera d’arte...quando si accompagnano i giovani con la vicinanza e quando si prega per loro, fioriscono delle meraviglie. Ma non fioriscono dall’uniformità: fioriscono proprio dalle differenze, che sono la loro ricchezza.





Gli occhi dei bambini

 



Alcuni stralci tratti da una bellissima intervista a Papa Francesco fatta da Dario Edoardo Viganò:

“Essere guardati dagli occhi dei bambini è un’esperienza che tutti conosciamo, che ci tocca fino in fondo al cuore e che ci obbliga anche a un esame di coscienza.  Lo sguardo dei bambini sul mondo è uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male.

Che cosa facciamo perché i bambini possano guardarci sorridendo e conservino uno sguardo limpido, ricco di fiducia e di speranza? Che cosa facciamo perché non venga rubata loro questa luce, perché questi occhi non vengano turbati e corrotti?

Quanta necessità abbiamo oggi d’imparare a guardare! Servono occhi capaci di fendere il buio della notte, di alzare lo sguardo oltre il muro per scrutare l’orizzonte.

Oggi è tanto importante una catechesi dello sguardo, una pedagogia per i nostri occhi spesso incapaci di contemplare in mezzo all’oscurità la “grande luce” (Is 9,1) che Gesù viene a portare. Una mistica del nostro tempo, Simone Weil, scrive: «La compassione e la gratitudine discendono da Dio, e quando vengono donate attraverso uno sguardo, Dio è presente nel punto in cui gli sguardi s’ incontrano». Ecco perché la riflessione sullo sguardo apre alla trascendenza.

Guardare non è vedere…Vedere è un atto che si compie solo con gli occhi, per guardare occorrono gli occhi e il cuore… È la qualità dello sguardo a fare la differenza… Uno sguardo che tocca la realtà, ma anche il cuore, è uno sguardo che la realtà la trasforma…Non è uno sguardo che ti lascia dove sei, ma è uno sguardo che ti porta su, che ti solleva, che ti invita ad alzarti…uno sguardo di svelamento:

là dove noi non vediamo che un limite, l’occhio del poeta e dell’artista costruisce passaggi, apre brecce negli sbarramenti, scorge i segni di una realtà più bella e più grande. Abbiamo tanto bisogno di questo sguardo”.





 

 

 

La Chiesa ha bisogno dell’Arte

 una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta“ Giovanni Paolo II

Come fare per colmare il vuoto che separa l’arte dalla fede e gli artisti dalla Chiesa?

A tal proposito ieri abbiamo avuto un incontro schietto e proficuo con Don Matteo, il cardinal Zuppi anche in vista del Giubileo degli artisti che si terrà a Roma nel 2025.

 

“La Chiesa ha bisogno dell’arte. Si può dire anche che l’arte abbia bisogno della Chiesa?”

Giovanni Paolo II rivolse questa domanda agli artisti nella lettera che scrisse in occasione dell’anno Giubilare.

Nel corso della Storia, gli artisti hanno sempre collaborato con la Chiesa per diffondere la cultura, la verità e la bellezza; come mai allora negli ultimi due secoli abbiamo assistito al marcarsi di una distanza tra le eccellenze delle avanguardie artistiche e la Chiesa?

Forse la Chiesa non è stata sufficientemente capace di comprendere le rivoluzioni stilistiche dell’arte e di stare al passo con i tempi, o piuttosto gli artisti hanno abbandonato il senso della fede e di conseguenza si sono allontanati dalla Chiesa?

Personalmente penso siano vere entrambe le cose; la Chiesa, affezionata al canone di una bellezza che trova nel Classicismo, nel Rinascimento, Manierismo e Barocco il suo massimo splendore, spesso e volentieri, ha avuto verso le novità stilistiche, un atteggiamento di diffidenza non molto diverso da quello del Salon degli Accademici nei confronti degli impressionisti, nella Francia della seconda metà dell’800.

D’altra parte, gli artisti forse stanchi delle influenze dei committenti e soprattutto eredi di una società sempre più scristianizzata e relativista si sono allontanati e opposti alla Chiesa, vedendo in essa un grande sistema di controllo ed omologazione del pensiero, lontana dal libertinaggio creativo e morale che ha caratterizzato gli ultimi tempi.

Come fare allora per colmare il vuoto che separa l’arte dalla fede e gli artisti dalla Chiesa?

Giovanni Paolo II, nella Lettera sopra citata, auspicava il riannodarsi di una più proficua cooperazione tra l’arte e la Chiesa, perchè “l’umanità di tutti i tempi, anche quella di oggi, aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino.”

Come Unione Cattolica Artisti Italiani ci sentiamo chiamati a collaborare affinchè questa cooperazione ritrovi l’intesa di un tempo. In fin dei conti, tanto l’arte quanto la Chiesa desiderano rispondere agli aneliti più profondi del cuore e favorire il ricongiungimento, tra la nostalgia della pace, della verità e della giustizia che ogni uomo sente, e il mondo effettivo dove abitiamo in cui spesso e volentieri mancano bellezza e bontà.

L’animo umano è abitato dal desiderio di trascendere tutti i limiti, la bellezza è fragile custode di questo insopprimibile anelito;

Sono pochi gli artisti contemporanei che conservano un rapporto con la fede e con la Chiesa e sono ancora meno i cristiani che hanno un’autentica consapevolezza della bellezza e dell’arte moderna.

Perciò le migliori opere d’arte non hanno più nulla a che fare con il messaggio e i contenuti della Fede Cristiana, e viceversa le opere “cristiane” spesso e volentieri mancano della necessaria qualità tecnica e artistica per essere considerate a tutti gli effetti Opere d’Arte!

Alcuni artisti di talento ancora collaborano con vescovi o parroci ma nella stragrande maggior parte dei casi a loro non viene chiesto un lavoro creativo, bensì un’esecuzione artigianale che riproponga nostalgicamente gli schemi e i canoni dell’arte tradizionale cristiana.

Bisogna dire anche che pochissimi dei parroci responsabili della decorazione e dell’ornamento delle chiese hanno una sensibilità e una formazione storico-artistica moderna e contemporanea, anzi sono spesso diffidenti e prevenuti verso tutto quello che non conoscono.

Papa Francesco a proposito dell’arte ha scritto:

“La Chiesa deve promuovere l’uso dell’arte nella sua opera di evangelizzazione, guardando al passato ma anche alle tante forme espressive attuali. Non dobbiamo avere paura di trovare e utilizzare nuovi simboli, nuove forme d’arte, nuovi linguaggi.”

Papa Francesco apre esplicitamente all’arte contemporanea, ai nuovi simboli, ai linguaggi dei nostri tempi, superando le perplessità di una struttura clericale che spesso il Pontefice ha contestato per la sua difficoltà ad aprirsi al nuovo.

A questo punto sorge un’altra domanda: qualora vescovi e parroci avessero questa sensibilità e formazione, e lasciassero agli artisti esprimere il loro genio, troverebbero artisti con un senso della Fede sufficientemente formato dal quale poter attingere la loro creatività a maggior gloria di Dio? Nell’arte di oggi il mistero, il trascendente e il religioso in senso lato hanno ancora cittadinanza?

Nel caso contrario, come potrebbe un’artista, per quanto virtuoso o geniale, accostarsi attraverso il suo lavoro al Mistero della Fede che ignora o peggio esclude dalla sua esistenza?

È necessario introdurre un’antropologia cristiana nell’arte moderna e una sensibilità contemporanea nell’arte cristiana.

Per fare questo la Chiesa ha bisogno degli artisti e gli artisti hanno bisogno della Chiesa.

Sempre attuali sono le parole del fondatore dell’Ucai Paolo VI:

“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione.

La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia nel cuore degli uomini.”

Bisogna risvegliare nell’uomo la nostalgia di Dio e così anche nelle arti avremo un rifiorire di bellezza, di profondità nuova e contemporanea, trovo illuminanti a tal proposito le parole di Saint-Expupéry: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”

Francesco Astiaso Garcia






"Cadano presto i muri, visibili e invisibili, che dividono i popoli in Europa, Asia, Africa, nelle Americhe, in mezzo al mare Mediterraneo per i migranti che fuggono dalle guerre! Cadano i muri del cuore che accecano e non fanno vedere che l’altro è mia sorella e mio fratello!"

I  SEGNI  DEI TEMPI


Se si insegnasse la bellezza alla gente !

 


«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore. La Bellezza è importante, non ci vuole nulla a distruggere la Bellezza… e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘ste fesserie, bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla».

Peppino Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978)


OMNIA VINCIT AMOR, l'amore trionfa su tutto

Ieri, lunedì 30 ottobre, alle ore 16:30, presso il Museo degli Sport di Combattimento, abbiamo inaugurato la mostra OMNIA VINCIT AMOR (celebre verso virgiliano), l'amore trionfa su tuttoDurante la presentazione in aula magna sono state lette poesie e cantate, a suon d’organetto, canzoni d’amore della tradizione romana.

In un contesto storico divisivo e conflittuale, come quello odierno, abbiamo necessità urgente di messaggi di bellezza e di speranza per non cedere alla disperazione, alla sfiducia e allo sconforto; la dignità dell’artista consiste nel suo dovere di tenere acceso il senso di meraviglia nel mondo.

Personalmente ho partecipato con questo tondo, uno studio preparatorio dal titolo “CANZONE D’AMORE, Alba di Speranza”. L’opera rappresenta un sole che sorge e cresce assieme ad un altro tondo, quello della pancia di una mamma che aspetta con fiducia il suo bambino, accarezzato anche dalla sorellina.

La mostra in Via dei Sandolini, 79 - 00122 Ostia Lido (Roma), resterà aperta fino al 31 marzo 2024 e vi invito caldamente a visitarla, anche perchè il centro Olimpico FIJLKAM, è un'opera d'arte in sè! Per invogliarvi ulteriormente, pubblico le foto di alcune delle opere in mostra.

All’inaugurazione erano presenti il Presidente della FIJLKAM, Domenico Falcone, la vicepresidente del X Municipio, Valentina Prodon, e numerose personalità della Cultura e dello Sport.

La mostra d’arte Omnia vincit amor, ideata e allestita dall’architetto Livio Toschi, Direttore artistico del Polo Culturale FIJLKAM, ha ricevuto il patrocinio del CONI, del Municipio Roma X, dell’Accademia Olimpica Nazionale Italiana, dell’Associazione Nazionale Stelle al Merito Sportivo, del Comitato Nazionale Italiano per il Fair Play, dell’Unione Italiana Collezionisti Olimpici e Sportivi e dell’Unione Nazionale Associazioni Sportive Centenarie.






































Giubileo 2025 – Pellegrini di Speranza - Progetto di lavoro iconografico

 


 

Come rappresentare attraverso la pittura iconica la SPERANZA?

 

Facendo seguito al fruttuoso lavoro sull’iconografia della Santa Famiglia, ma soprattutto rispondendo all’appello del Santo Padre a prepararci alla celebrazione del Giubileo del 2025, che avrà come motto «Pellegrini di speranza», la Scuola iconografica di Seriate, in collaborazione con l’UCAI (Unione Cattolica Artisti Italiani), propone a tutti gli interessati un nuovo itinerario di riflessione e di impegno creativo sul tema della speranza, che possa sfociare nella creazione di opere iconiche legate alla tradizione e nel contempo espressive delle attese religiose e della fede degli uomini del nostro tempo. Tale, del resto, è stata l’iconografia cristiana di tutte le epoche: lungi dal ridursi a copia meccanica di modelli dati una volta per sempre, ha sempre saputo parlare al cuore dei suoi contemporanei.

 

«Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza».

dalla Lettera di Papa Francesco in preparazione al Giubileo, 11 febbraio 2022

 

Possibili passi di un cammino

Il lavoro potrebbe svolgersi nel corso dell’anno 2024, comprendendo alcune lezioni che possano offrire spunti di meditazione spirituale e di conoscenza artistico-culturale. Ci sembra che questa prima parte sia essenziale, proprio perché l’icona nasce innanzitutto da una maturazione dell’esperienza di fede e dalla contemplazione del Mistero, non è riducibile alla ricerca di schemi e soluzioni pittoriche più o meno azzeccate.

A. Un ciclo di 4/5 lezioni (in presenza e/o online), che si svolgeranno con cadenza mensile da gennaio ad aprile 2024, a cura di esperti di livello internazionale, sui seguenti temi:

  1. Il tema della Speranza nella Sacra Scrittura
  2. Il tema della Speranza nella patristica

3/4. Il tema della Speranza nella pittura dell’epoca della Chiesa indivisa

e nella tradizione orientale (in particolare, bizantina e russa)

  1. Il tema della Speranza nella pittura di tradizione occidentale

 

B. In maggio si potrebbe prevedere un primo incontro assembleare dei partecipanti al progetto, in cui condividere i frutti delle riflessioni maturate sia nell’approfondimento personale del tema della Speranza, sia in termini di proposta di bozzetti di opere legate a questo tema. Possiamo sempre contare sul valido consiglio e supporto di Irina Jazykova, probabilmente la più grande esperta vivente di icona contemporanea.

N.B.: Teniamo presente che l’icona per sua natura nasce ed esprime sempre un contenuto storico. Perciò, leggendo i brani della Scrittura e le interpretazioni datane dai Padri, si individueranno facilmente numerose piste, sia per il Nuovo che per l’Antico Testamento.

 

Possibili esiti pratici

Alla fine del percorso, le icone realizzate potrebbero dar luogo ad una mostra – come nel precedente progetto sulla Santa Famiglia.

Inoltre, sarà possibile partecipare con la propria opera al bando specifico sull’iconografia cristiana canonica previsto tra quelli che l’UCAI intende indire per selezione opere in vari ambiti artistici da esporre in mostra in occasione del Giubileo 2025.

Chiunque fosse interessato a partecipare al lavoro, è pregato di dare la propria adesione scrivendo entro il 30 novembre

 

2023 all’indirizzo:

iconedisperanza@russiacristiana.org

Potrà così ricevere informazioni e materiali sul progetto.




La Morte della Poesia



 “La morte della porpora” di Georges-Antoine Rochegrosse, (1914 circa) rappresenta la metropoli industriale come figura della “città dolente” sulla Terra, dove un uomo piange la morte della poesia mentre in lontananza corrono i treni sulle rotaie e le fabbriche producono ricchezza.

Non si può guardare questo dipinto senza porsi la tragica domanda: È veramente scomparsa la poesia dal mondo, o siamo diventati piuttosto incapaci di riconoscerla? La nostra società consumistica sottovaluta, svilisce, distorce il significato della bellezza, degradando ogni cosa a valore di scambio o di conquista, a strumento per produrre inganno, adulazione, dominio.

Per abitare poeticamente la terra, abbiamo bisogno di poesia, abbiamo bisogno di poeti, soprattutto quando la poesia sembra scomparsa e i poeti ormai estinti.

L’esistenza è costantemente esposta al sacro, ma la facoltà di vedere dell’uomo è drammaticamente in declino. Abbiamo perso lo sguardo contemplativo sul mondo, lo sguardo capace di capire l’interdipendenza degli uomini; Siamo in grado di decifrare in modo microscopico tutto ciò che esiste, siamo in grado di analizzare la composizione chimica, di misurare le proprietà energetiche di ogni cosa ma non siamo più in grado di discernere i nessi che esistono tra le miriadi delle cose create.

L’umanità ferita è alla ricerca della bellezza, abbiamo bisogno di riscoprire la poeticità dello stare al mondo e non c’è intelligenza artificiale o algoritmo che può aiutarci in questo.

Scrive Todorov nel suo libro dal titolo significativo, “Il trionfo dell’artista”: “I detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali, provenienti dalle opere prodotte da questi artisti…Senza queste opere l’umanità non potrebbe sopravvivere, né allora né oggi. È qui il trionfo dei fragili eroi del nostro racconto”.

Quanto sarebbe bello restituire agli artisti la loro vocazione di fragili eroi; da qui vorrei ripartissimo, dai valori estetici, etici e spirituali senza i quali l’umanità non potrebbe sopravvivere, dalla bellezza attraverso la quale il mondo si salva! Affermiamo ed amiamo la bellezza, in essa s’incarna il senso della vita che non perisce, si tratta di salvare l’umano nell’uomo, di salvare il senso stesso della vita umana contro il caos e l’assurdo. Il mondo ha bisogno di sognare e se gli artisti i musicisti e i poeti smettono di farlo, chi potrà continuare ad alimentare i sogni!

“Si se calla el cantor calla la vida, porquè la vida misma es toda un canto” dice una meravigliosa canzone di Horacio Guarany.

Lasciamoci sedurre dalla bellezza che unisce l’oriente e l’occidente, dalla verità che unisce tutto e tutti e saremo servitori disposti a sperimentare il primato delle grazie spirituali e carismatiche sulle miserie e sulle paure del nostro tempo; allora saremo capaci di far vibrare l’anima dei nostri fratelli con la stessa bellezza che ha incendiato il nostro cuore condividendo con loro un orizzonte bello, nuovo e sorprendente.

Francesco Astiaso Garcia

Shalom

Shalom



Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. 

Al contrario, le nostre parole devono essere creative, 

dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti.


 Gerusalemme 24 Ottobre 2023

 

Carissimi, il Signore vi dia pace!

Stiamo attraversando uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente. Da or-mai più di due settimane siamo stati inondati da immagini di orrore, che hanno risvegliato traumi antichi, aperto nuove ferite, e fatto esplodere dentro tutti noi dolore, frustrazione e rabbia. Molto sembra parlare di morte e di odio senza fine. Tanti “perché” si accavallano nella nostra mente, facendo aumentare così il nostro senso di smarrimento.

Tutto il mondo guarda a questa nostra Terra Santa, come ad un luogo che è causa continua di guerre e divisioni. Proprio per questo è stato bello che qualche giorno fa, tutto il mondo fosse invece unito a noi con una giornata di preghiera e di digiuno per la pace. Uno sguardo bello sulla Terra Santa e un importante momento di unità con la nostra Chiesa. E questo sguardo continua. Il prossimo 27 ottobre il Papa ha indetto una seconda giornata di preghiera e di digiuno, perché la nostra intercessione continui. Sarà una giornata che celebreremo con convinzione. È forse la cosa principale che noi cristiani in questo momento possiamo fare: pregare, fare penitenza, intercedere. E di questo ringraziamo il Santo Padre di vero cuore.

In tutto questo frastuono dove il rumore assordante delle bombe si mischia alle tante voci di dolore e ai tanti contrastanti sentimenti, sento il bisogno di condividere con voi una parola che abbia la sua origine nel Vangelo di Gesù, perché in fondo è da lì che tutti noi dobbiamo partire e lì dobbiamo sempre ritornare. Una parola di Vangelo che ci aiuti a vivere questo tragico momento unendo i nostri sentimenti a quelli di Gesù.

Guardare a Gesù, ovviamente, non significa sentirci esonerati dal dovere di dire, denunciare, richiamare, oltre che consolare e incoraggiare. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa, è necessario rendere “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Matt. 22,21). Guardando a Dio, vogliamo dunque, innanzitutto, rendere a Cesare ciò che è suo.

La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine.

La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore, mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza

riserve. I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun

problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata.

È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolverà questo problema alla sua radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito.

Ma non posso vivere questo tempo estremamente doloroso, senza rivolgere lo sguardo verso l’Alto, senza guardare a Cristo, senza che la fede illumini il mio, il nostro sguardo su quanto stiamo vivendo, senza rivolgere a Dio il nostro pensiero. Abbiamo bisogno di una Parola che ci accompagni, ci consoli e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo.

“Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate co-raggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

Ci troviamo alla vigilia della passione di Gesù. Egli rivolge queste parole ai suoi discepoli, che di lì a poco saranno sballottati come in una tempesta di fronte alla Sua morte. Saranno presi dal panico, si disperderanno e fuggiranno, come pecore senza pastore.

Ma questa ultima parola di Gesù è un incoraggiamento. Non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace. Non si tratta di una pace irenica campata in aria, né di rassegnazione al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. Ma di avere la certezza che proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. Nonostante il male che devasta il mondo, Gesù ha conseguito una vittoria, ha stabilito una nuova realtà, un nuovo ordine, che dopo la risurrezione sarà assunto dai discepoli rinati nello Spirito.

È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È vero che sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. E con la Risurrezione e con il dono dello Spirito, quella realtà e quell’ordine appartengono ai suoi discepoli. A noi. La risposta di Dio alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce.

È su questo che si gioca la nostra fede oggi. Gesù in quel versetto parla giustamente di coraggio. Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio.

Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti.

Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità, per mantenere l’unità, sentirsi uniti l’uno all’altro, pur nelle diversità delle nostre opinioni, delle nostre sensibilità e visioni.

Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo. Vogliamo chiedere a Dio quel coraggio. Vogliamo essere vittoriosi sul mondo, assumendo su di noi quella stessa Croce, che è anche nostra, fatta di dolore e di amore, di verità e di paura, di ingiustizia e di dono, di grido e di perdono.

Prego per tutti noi, e in particolare per la piccola comunità di Gaza, che più di tutte sta soffrendo. In particolare, il nostro pensiero va ai 18 fratelli e sorelle periti recentemente, e alle loro famiglie, che conosciamo personalmente. Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore. Siamo tutti con loro, nella preghiera e nella solidarietà concreta, ringraziandoli della loro bella testimonianza.

Preghiamo infine per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace!

Ci stiamo avvicinando alla solennità della Regina di Palestina, la patrona della nostra diocesi. Quel santuario fu eretto in un altro periodo di guerra, e fu scelto come luogo speciale per pregare per la pace. In quei giorni riconsacreremo nuovamente la nostra Chiesa e la nostra terra alla Regina di Palestina! Chiedo a tutte le chiese nel mondo di unirsi al Santo Padre e a noi nella preghiera, e nella ricerca di giustizia e pace.

Non potremo quest’anno ritrovarci tutti, perché la situazione non lo permette. Ma sono certo che tutta la diocesi sarà unita in quel giorno per pregare unita e solidale per la pace, non quella del mondo, ma quella che ci dona Cristo.

Con l’augurio di ogni bene,

†Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini


Shalom