Siamo alle porte del Natale e la pandemia da Coronavirus continua ad esasperare una già drammatica situazione di crisi economica, morale, sociale ed ecologica. Tutto ciò alimenta la sfiducia e il senso di smarrimento verso un avvenire che si prospetta sempre più incerto e scoraggiante.
Di qui il tedio, l’angoscia, la noia, la nausea: questo pungolo assiduo dell’uomo che è stato tradito dalla modernità razionalista ma non sa tornare a Dio; ciò che resta è una disperazione senza via d’uscita, una paura che paralizza ogni impeto costruttivo. Quante relazioni ferite intorno a noi, quante persone non trovano soluzione alle loro fragilità, quanta divisione, quanta ostilità, chiusura, pregiudizio e non senso.
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Balthasar acutamente sostiene che quando l’uomo incontra queste domande, la filosofia trapassa in teologia; nessun uomo sa prescindere dalla questione del senso ultimo. C’è dunque un immenso e universale bisogno di salvezza, ma cosa vuol dire salvezza? Salvato è colui che è stato liberato da un male incombente. Ma chi è che salva, da cosa ci salva? Senza una lucida comprensione dell’uomo, le conclusioni oscillano tra l’affermazione che una salvezza vera e propria della persona umana sia superflua o peggio, impossibile. Altri ritengono possibile e necessaria solo una salvezza esteriore che cioè si risolva in un mutamento delle strutture e delle condizioni sociali, politiche e culturali. Ma siamo sicuri che sia sufficiente questo tipo di cambiamento e non sia necessario invece un cambiamento più profondo cha parta dal cuore dell’uomo?
Oggi si parla spesso della necessità di un nuovo umanesimo, diventa quindi indispensabile intendersi su ciò che è propriamente umano. Significativa a tal proposito una battuta di Jacques Maritain: “Il vizio radicale dell’Umanesimo antropocentrico è d’essere stato antropocentrico e non d’essere umanesimo”. Qualche giorno fa ho letto una frase dipinta a caratteri cubitali su un muro fatiscente: “Non vogliamo programmi di partito ma uomini nuovi”. Non so chi l’abbia scritta ma credo che ancora una volta la sapienza popolare abbia centrato il punto: basta chiacchiere, aggressività e promesse, aspettiamo uomini nuovi, di questi abbiamo veramente bisogno! Solo un uomo redento potrà vivere relazioni redente con gli altri uomini, e la Terra partecipa di questa redenzione.
Anni fa ho avuto la fortuna di assistere ad un intervento di Marco Ivan Rupnik sulla misericordia, ho trovato le sue parole illuminanti:
“Siamo chiamati a suscitare voglia e appetito nel mondo per una vita nuova, e la nostra fede non è altro che accoglienza di questa vita nuova. Dobbiamo coinvolgere le persone in un desiderio di vita nuova. Una religione moralistica che si è prosciugata non serve più. Solo se passa attraverso di noi questa vita di Dio, l’uomo è capace di portare il frutto che rimane. Il Padre è l’unico che può coprire la distanza che separa l’uomo perduto, peccatore, morto, dal Dio vivente. L’uomo da solo non può farlo: tale capacità di Dio di raggiungerci è la stessa identità di Dio verso di noi e verso la creazione, cioè la misericordia”.
Siamo nel cuore di quel Mistero Pasquale, che solo ha il potere di sorreggere e rendere feconda l’intera storia umana, e che ogni cristiano è chiamato a reinterpretare nel concreto della propria esperienza. La Buona Notizia consiste nella gratuità della grazia divina nell’incontro con una persona Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza. Secondo Anassimandro ogni nascita deve pagare il prezzo dell’ingiustizia che inevitabilmente produce, Cristo ha pagato per noi questo prezzo. Accogliere questo annuncio significa accogliere la grazia divina e poter amare come non ci era possibile prima e sperimentare la felicità e la pienezza, in attesa di “Cieli Nuovi e Terra Nuova dove avrà stabile dimora la giustizia”.
La grazia ci libera dalla schiavitù del peccato che ci obbligava ad offrire tutto a noi stessi, imprigionati nella paura del futuro, della malattia, dell’incertezza e condannati a contare le nostre monete per esorcizzare il terrore della morte, dell’imprevisto e della precarietà. Questa è la grande speranza a cui siamo chiamati, la sola, unica, grande speranza a cui ogni uomo è chiamato…ciò non riguarda solo il cristianesimo, riguarda l’umanità nel suo complesso.
“Io desidero con tutto il cuore che un essere eterno e invisibile si interessi al mio destino, ma come fare per crederlo? Oh felice chi può con vigorose piume balzar verso le lande luminose e serene e planar sulla vita e senza pena intende il linguaggio dei fiori e delle cose mute.”
Queste parole di Charles Baudelaire descrivono bene il desiderio dell’uomo di elevarsi al di sopra della difficile realtà in cui si trova a vivere, per giungere a felicità sovra-terrene. Ogni uomo sente questa sete profonda di vita e verità. Come potrà essere felice un uomo che vive con il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa!
Baudelaire, decisamente antilluminista, ha la struttura interiore di un mistico è sempre sull’orlo di quell’umiliazione esaltante che lo spalancherebbe alla Salvezza, se solo accettasse di essere compiuto da Altro da sé, di fare spazio alla Grazia.
Lasciamoci sedurre dalla più alta Bellezza, la vera grande bellezza che supera la legge ed il dovere ed entra nella dimensione della gratuità e saremo servitori disposti a sperimentare il primato delle grazie spirituali e carismatiche sulle miserie e sulle paure del nostro tempo.
Allora saremo capaci di far vibrare l’anima dei nostri fratelli con la stessa bellezza che ha incendiato il nostro cuore condividendo con loro un orizzonte bello, nuovo e sorprendente. La fede svela l’uomo a sé stesso ricordandogli le fondamenta della sua grandezza, la verità profonda del suo essere e la prodigiosa novità di Cristo: "portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi".
Buon Natale amici miei!
Francesco Astiaso Garcia