Trascrizione dell'intervento di Francesco
Astiaso Garcia durante il Convegno sulla valenza terapeutica delle
discipline visive come mezzi per il benessere psico-fisico, presso
il Centro Congressi Fondazione Santa Lucia il 29 ottobre 2022:
Buonasera a tutti,
mi è stato chiesto di dire qualcosa sul
rapporto tra l'uomo, l'arte e l'anima. Vorrei partire dalla splendida
massima di Terenzio: “Niente di ciò che è umano mi è estraneo".
Quanto sarebbe bello poter dire lo stesso!
Ci interessa, ci sta veramente a cuore tutto ciò che è umano? Ci troviamo
dentro un importante ospedale, e voi medici ci insegnate che restiamo veramente
umani, solo quando avvertiamo come nostre le fatiche dell'umanità.
Quando parliamo dell'uomo, dobbiamo parlarne nella sua totalità; non possiamo parlare di un occhio, limitandoci a descrivere l’iride, la retina e la pupilla senza parlare della vista, che ne esprime l'essenza; così non possiamo parlare dell'uomo e del suo corpo, senza parlare anche della sua anima, che ne esprime l’essenza!
È importante non ridurre tutto ad
un'esistenza fisiologica, l'uomo ha una sua dimensione corporea e fisica e una
sua dimensione psichica e spirituale. In un’intervista recente il Dalai
Lama ha detto: “Questa è l’epoca in cui si mette tutto in mostra alla finestra
per occultare il vuoto della stanza", il problema dunque non è tanto cosa
si metta in mostra alla finestra, quanto piuttosto il contenuto della
stanza. Uno dei grandi drammi dell’uomo del nostro tempo è quello di
non credere più alla grandezza della propria anima. Come potrà essere felice un
uomo che vive con il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato
verso una morte certa!
Oriana Fallaci ha scritto righe memorabili sul dolore dell'anima:
"Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare".
Solo conscendo l'uomo possiamo prenderci
cura dell'uomo; oggi tutti parlano della necessità urgente di un nuovo
umanesimo, dobbiamo allora intenderci su ciò che sia propriamente umano.
“Che cos’è l’uomo perché te ne curi, il
figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?", chiede a Dio il salmista,
rimarcando la pochezza e la fragilità dell'esistenza umana. Aggiunge però
subito dopo: "Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di
onore lo hai coronato”, testimoniandone allo stesso tempo la grandezza
e lasciandoci intuire la destinazione gloriosa che ci attende. La verità
sull'uomo comprende entrambe queste fondamentali dimensioni.
La bellezza dei corpi passa fugacemente ma
l'uomo è molto di più di un corpo che nasce, invecchia, si ammala e muore, è
molto di più di una presenza estetica che tende al disfacimento. C'è un
vecchio proverbio amerindo che dice: "Se a un uccello tagli il becco, le
piume e gli artigli non rimane niente, se a un uomo tagli le braccia, le gambe
e le mani rimane sempre un uomo". Dov’è allora la bellezza che non
passa? Come definire questa bellezza non offesa dal tempo?
Sant’ Agostino ne dà una definizione
meravigliosa: “Noi non amiamo che il bello, ma che cos'è il bello? E
cos'è la bellezza? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro
amore? Che significa vedere nell' intimo? Significa vedere ciò che
non è colore, che non è suono, che non è odore, che non è sapore, e
neppure calore, o freddo, o morbidezza, o durezza...Ciò che il luogo non
circoscrive e risuona, ciò che il tempo non porta via e profuma, ciò che
il vento non disperde e ha sapore, ciò che la voracità non fa diminuire e
rimane stretto nell' amplesso, ciò che la sazietà non respinge. Non
appare forse a tutti questa bellezza?…e allora perché non parla a tutti
egualmente?”
Per vedere la bellezza dell’uomo in senso
pieno occorre l’amore, l’amore rivela una nuova dimensione del vedere.
Quanto più amiamo, tanto più saremo capaci di vedere, se invece non amiamo
saremo altrettanto ciechi o corti di vedute.
Può sembrarvi un concetto un po’ forzato
eppure non mi sto inventando nulla di strano, già i latini usavano
l'espressione “Ubi amor, Ibi oculus”, lì dove c’è amore, lì ci sono anche gli
occhi per vedere, vedere veramente.
Forse abbiamo gli occhi annebbiati e non
vediamo più la meraviglia della vita dell’uomo. Tuttavia per il fatto che i
ciechi non vedono, non possiamo concludere che la luce del sole non
brilli...non c'è luna che possa brillare senza sole, anche qualora ne ignorasse
o peggio negasse l'esistenza.
È qui che capiamo perché sono fondamentali
gli artisti, Il poeta Gilbert Keith Chesterton disse: "La dignità
dell'artista sta nel suo dovere di tenere vivo il senso della meraviglia del
mondo. Il mondo non perirà per mancanza di meraviglie, il mondo perirà per
mancanza di meraviglia!"
Per dipingere l'uomo bisogna conoscere
l'uomo, un ritratto è il paesaggio dell'anima della persona dipinta. Non si può
dipingere un ritratto senza aver amato, senza aver sofferto, senza aver
vissuto, sarebbe come scrivere la biografia di un uomo che non abbiamo
conosciuto o disegnare la mappa di un luogo che non abbiamo visitato.
Lo sguardo dell'artista deve penetrare
tutto, come la pioggia che quando cade vigorosa non risparmia nulla. Da
anni cerco la maniera di rappresentare il ritratto e la figura umana in modo da
fissarne sulla tela l’essenza spirituale e rendere visibile l’invisibile
presenza del divino.
Quando scopriamo la nostra divina
somiglianza si aprono per noi le porte del cielo, quelle porte che hanno spinto
il povero Jim Morrison a chiamare il suo gruppo "The Doors" in
omaggio al poeta William Blake, che scrisse: "Quando le porte della
percezione saranno aperte, vedremo l'uomo così com’è: infinito". La
vera iconoclastia consiste in tutto ciò che distrugge nell’uomo la divina
somiglianza.
Qualche anno fa mi è capitato di leggere
un'interessante scritto di Santa Teresa d’Avila, nel quale, la grande
mistica spagnola sfida apertamente gli artisti: “L’amore ha impresso nella
mia anima un’immagine di te Altissimo, così bella, che nessun pittore, per
quanto sapiente, sarebbe capace di rappresentare”. La sfida è grande,
vedere in ogni essere umano come luogo d'incontro di corpo e spirito.
Da anni cerco una sintesi tra la modernità
e la tradizione, tra i canoni della bellezza classica e le avanguardie della
pittura del nostro tempo che mi permetta di portare lo spettatore verso
una dimensione più profonda. Per mezzo del disegno e della forma cerco la
rappresentazione anatomica dell'uomo e attraverso la pittura astratta ed informale
cerco la fisiognomica, i moti dell’animo, il suo mondo interiore.
I volti che dipingo sono trasparenti quasi
eterei, cerco un equilibrio tra il nascondere e il rivelare che conferisca al
ritratto fragilità e leggerezza. L’evanescenza è il simbolo dell’irraggiungibile,
la cifra stilistica dell’eterno.
L’esistenza è costantemente esposta al
sacro, ma la facoltà di vedere dell’uomo è drammaticamente in declino. Abbiamo
perso lo sguardo contemplativo sul mondo, lo sguardo capace di aprire una
finestra sull’eternità e di unire tutto e tutti, di capire l’interdipendenza
degli uomini e il loro comune destino; di vedere veramente che tutto è
connesso!
Siamo in grado di decifrare in modo
microscopico tutto ciò che esiste, siamo in grado di analizzare la composizione
chimica, di misurare le proprietà energetiche di ogni cosa ma non siamo più in
grado di discernere i nessi che esistono tra le miriadi delle cose create;
Senza la luce divina, l’uomo vede l’universo a immagine del proprio
decadimento.
Per risollevare l'uomo dalla sua
desolata condizione esistenziale è certamente necessario discutere di politica,
di economia o ecologia ma è ancora più urgente e indispensabile rivelare
all'uomo la verità su se stesso, la sua sacralità e dignità: ogni uomo porta in
se l'eternità!
Oriana Fallaci scriveva ancora: “Molte
donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché
abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato dalla
guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che
il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che
viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra.”
L'umanità di tutti i tempi, anche quella
di oggi, aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio
destino. Bisogna risvegliare nell'uomo la nostalgia di Dio, di pienezza,
di giustizia, di senso e di bellezza. Solo allora avverranno spontaneamente le
riforme e i cambiamenti necessari per uscire dalle tante crisi del nostro
tempo.
Saint-Expupéry esprime molto bene questo
concetto:
"Se vuoi costruire una barca,
non radunare uomini per tagliare legna, dividere compiti e impartire ordini, ma
insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito"
Francesco Astiaso Garcia
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