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«Nell’amore
astratto per l’umanità quasi sempre si finisce con l’amare solo se stessi»,
scrive Dostoevskij nel suo famoso romanzo L’Idiota.
Una frase che attraversa i secoli e ci
raggiunge intatta, come un raggio di verità che illumina la nostra epoca di
parole grandi e gesti piccoli.
Viviamo tempi in cui è facile proclamare
amore per l’umanità, per la pace, per la giustizia, per la Terra; ma questo
amore universale spesso resta sospeso nel cielo delle idee, leggero, privo di
peso, separato dal respiro concreto dell’esistenza, un concetto astratto,
lontano dalla fatica reale di amare il prossimo che ci è vicino, quello che ci
disturba, ci contraddice, ci toglie la pace o ci mette alla prova.
Mafalda, con la sua ironia disarmante, lo
dice a modo suo: «Amo l’intero genere umano… è il mio vicino di pianerottolo
che detesto.»
Ed
eccolo, il paradosso eterno: più ampio si fa il nostro amore nelle parole, più
rischia di svuotarsi nella realtà. L’amore
per l’umanità come idea può essere una fuga dall’amore vero, quello che si
misura nella concretezza del quotidiano.
Perché amare davvero non significa
abbracciare l’umanità in astratto, ma lasciarsi toccare, e spesso ferire,
dall’umanità concreta che ci vive accanto. Amare è pazientare, ascoltare,
accogliere la differenza, perdonare la fatica dell’altro. È un cammino di
discesa, non di ascesa; un andare verso, non un elevarsi sopra.
Amare l’umanità in blocco è facile, perché
non ci chiede nulla di personale. Amare una persona concreta, con i suoi
difetti, le sue fragilità, le sue differenze, è invece la forma più difficile,
e quindi più autentica, di amore.
Jean-Paul
Sartre scriveva che “l’inferno sono gli altri”, perché l’altro mette in
crisi la nostra libertà, svela i nostri limiti, ferisce il nostro egoismo
infrangendo l’immagine pura che abbiamo di noi stessi. Ma è proprio
attraverso questa ferita che possiamo imparare il significato dell’amore.
Abbiamo un urgente bisogno di uno sguardo veramente umano, che rimetta la persona al centro. Uno sguardo non ideologico, non strategico, non politicamente corretto né strumentale ma semplicemente umano: capace di misurare ogni cosa sul valore primario della persona e sulla sua inviolabile dignità. La compassione selettiva non può essere credibile. Molte persone mostrano la loro compassione in modo diverso, in base alla razza, alla fede o alla nazionalità. Finché avremo bisogno di identificare le pecore nere, resteremo prigionieri dell’idea di essere noi le bianche.
Quando sapremo vedere
nel vicino di pianerottolo che detestiamo non un fastidio, ma un fratello da
comprendere, da perdonare e da accogliere, l’amore cesserà di essere un’idea e
diventerà realtà; E forse, allora, l’umanità avrà ancora speranza.
Francesco
Astiaso Garcia
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