Nella Città di Dio, sant’Agostino racconta un celebre aneddoto: Alessandro Magno, dopo aver catturato un pirata, gli chiede con quale audacia osi infestare il mare. Il pirata risponde senza esitazione: “Con la stessa audacia con cui tu infesti la terra. Io con una piccola nave sono chiamato ladro; tu con una grande flotta, imperatore.”
In poche battute, Agostino rovescia il paradigma della giustizia storica e smaschera il principio pericoloso su cui si fonda la retorica della legittimazione del potere: non è la giustizia a decretare la liceità degli atti, ma la forza, la scala e il successo. Non chi ha ragione, ma chi vince scrive la morale. La storia non premia i giusti, ma i più forti, e spesso traveste le conquiste con abiti di nobiltà posticcia.
Agostino, con la lucidità di un pensatore che ha attraversato la caduta dell’Impero Romano, invita a guardare oltre le apparenze del dominio. Il suo racconto non è solo una critica al potere politico, ma una provocazione etica e spirituale: quando il potere si autocelebra come giustizia, la coscienza deve imparare a distinguere, a discernere, a resistere.
Oggi, in un tempo saturo di narrazioni vincenti, slogan seducenti e costruzioni mediatiche che rivestono di senso le sopraffazioni, abbiamo più che mai bisogno di uno sguardo capace di riconoscere la retorica del potere e di disinnescarla. E magari, come quel pirata, di farlo con l’arma sottile dell’ironia e della verità.
(ispirato da un articolo di Antonio Spadaro)