Si se calla el cantor
Muere la rosa
¿De qué sirven las rosas sin el canto?
PULCHRITUDINIS STUDIUM HABENTES di Francesco Astiaso Garcia ©
La produzione artistica è condizionata dal
mercato, dalla moda e dalle influenze di tendenza. Questo di per sé non è un
male, lo diventa lì dove le dinamiche di mercato hanno il sopravvento sulla
creatività e la produzione originale di un'artista, cioè quando un'artista
finisce per dipingere non più quello che sente ma piuttosto quello che il
mercato domanda. Andy Warhol amava ripetere che nell'ambiente artistico non
si vende tanto la qualità della carne, quanto il rumore della bistecca sulla
piastra. Dovremmo dedurne che più importante dell'arte stessa, è tutta
l'operazione di marketing che le sta intorno.
Pierluigi Panza, autore del libro L'opera d'arte nell' epoca della sua
riproducibilità finanziaria, afferma che il valore dell'arte contemporanea
è disgiunto sia dai criteri di valutazione applicabili ad un'opera di
artigianato, sia dai criteri di valutazione estetici che una critica fondata
può attribuirgli...Per fare un affare bisognerebbe essere un insider e
telefonare a chi muove le leve: Cosa compri il mese prossimo? ...la
questione del valore artistico di un'opera non la stiamo nemmeno sfiorando."
Significative le parole del professore di
psicologia Paul Bloom a proposito della contraffazione delle opere
d'arte: "Si potrebbe credere che il piacere che traiamo da un
dipinto derivi dal colore, dalle forme e dal disegno...se le cose stessero così
non dovrebbe importare che si tratti di un originale o di un falso... ma il
nostro cervello non funziona così. Quando ci viene mostrato un oggetto o
offerto del cibo o mostrato un volto, il giudizio che ne diamo è profondamente
condizionato dalle informazioni che l'accompagnano".
Qualcuno ha sollevato comprensibilmente la
questione di etica artistica che implica l'utilizzare quattro studi e quaranta
assistenti per produrre le opere di Damien Hirst che poi l'artista si limita a
firmare. A tal proposito lo stesso Hirst ha detto: "Mi piace l'idea di una
fabbrica che produce le opere, il che separa le opere dalle idee, ma non mi
piacerebbe una fabbrica che produce idee".
Il vero dramma sorge quando ci troviamo
davanti al vuoto, davanti all'assenza di tecnica e di contenuto originale,
circostanza oggi tristemente frequente. Cosa rimane quando mancano le idee
e l'esecuzione pratica, quando manca il mestiere e anche l'autentica
intuizione? Rimane il brand, e soprattutto rimangono i soldi e il mercato...la
speculazione che "move il sole e le altre stelle" e
sterline...dell'arte. Il famoso economista Donald Thompson racconta in un suo libro sulle
stravaganze dell'economia dell'arte contemporanea una storia molto
significativa a proposito del brand di Hirst che riguarda A. Gill, giornalista
del "Sunday Times":
Gill possedeva un vecchio ritratto di
Iosif Stalin dipinto da un anonimo; l'aveva pagato 200 sterline.
Nel 2007 Gill lo propose a Christie's per venderlo in un'asta infrasettimanale
di minore importanza. La casa d'aste lo rifiutò dicendo che non trattava opere
che ritraevano Hitler o Stalin..."E se si trattasse di uno Stalin di Hirst
o di Warhol?", "In questo caso, naturalmente, saremo
felicissimi di averlo". Gill chiamò Damien Hirst e gli chiese se
avrebbe dipinto un naso rosso sul suo Stalin. Hirst accettò e aggiunse la sua
firma sotto quel naso. Con la firma di Hirst, Christie's lo accettò e lo
offrì per una stima tra le 8.000 e le 12.000 sterline. Diciassette rilanci
dopo, il martello batté la cifra di 140.000 sterline. Dopotutto, si
trattava di un Hirst autografo.
È evidente a tutti che oggi i nomi degli
artisti hanno sempre più importanza e l'arte a cui sono associati sempre di
meno; il 15 maggio 2001 una scultura di Jeff Koons che rappresenta la pop star
Michael Jackson con la sua scimmia è stata venduta durante un'asta d'arte
contemporanea per 5,6 milioni di dollari; si tratta di una cifra che Auguste Rodin, Henry Moore o Costantin Brancusi mai ricevettero per un'opera durante
tutta la loro esistenza. Questo avviene quando collezionisti e investitori
sono pronti a comprare con le orecchie anziché con gli occhi, attribuendo
valore ad un'opera solo in base alla reputazione, a quello che se ne dice.
Nel 2007 il Louvre concesse il suo marchio
al nuovo Louvre Abu Dhabi Museum per la modica cifra di 400 milioni di euro; la
cosa più incredibile è che il costo del nome del museo fu di gran lunga più
elevato di quello della costruzione della sua sede, per cui furono necessari
"soltanto" 115 milioni di dollari...questa è la forza economica
del brand nel mondo dell'arte! Mai
sottovalutare l'importanza di chiamarsi Louvre... l'importanza di chiamarsi Hirst!
Potremmo continuare con una lista infinita
di esempi ma ritengo questi più che sufficienti a dimostrare inconfutabilmente
che il valore di un'opera oggi non scaturisce più da questioni estetiche e
formali bensì da logiche di investimento e di status tiranneggiate dal mercato con il suo
entourage di galleristi, azionisti e collezionisti. Indossare pantaloni
firmati Armani, appendere nel proprio salone un Dalì e bere Chardonnay per
molti è più importante di vestire bene, arredare la casa con gusto ed
apprezzare un buon vino. Ma fin dove si può spingere ancora tutto questo? Dove
sta andando il mercato dell'arte contemporanea con i suoi prezzi in continua
crescita? Come può un'opera arrivare a costare 140 milioni di dollari?
Molti ormai riconoscono che la risposta è legata ai meccanismi malati che hanno
alzato la posta in gioco nel mercato dell'arte gonfiato da grandi capitali e
alimentato da dosi massicce di egocentrismo. Siamo giunti al punto in cui la
storia dell'arte può essere riscritta facilmente da un collezionista con buone
possibilità economiche.
Mi ha colpito molto l'onestà della
dichiarazione dell'ex direttore del Metropolitan Museum of Art Thomas Hoving:
"Pochi professionisti del settore ammettono che oggi il mondo dell'arte
è un nuovo, attivissimo, amorale mondo del falso".
La nostra società consumistica
sottovaluta, svilisce, distorce il significato della bellezza, degradando ogni
cosa a valore di scambio o di conquista, a strumento per produrre inganno,
adulazione, dominio. In arte come in politica dobbiamo fuggire l'errore di
pensare che la più alta ricompensa sia il consenso. L'onore non coincide con la
reputazione; l'onore dipende dalle virtù della persona, non da quello che
pensano gli altri. La nostra società senza onore, è basata sulla
reputazione; Trovo drammaticamente attuali le parole di Blaise Pascal:
"Diventeremmo di buon grado vigliacchi pur di essere stimati
coraggiosi". I poteri forti condizionano le masse con un duplice fine: il consumo e il consenso. E gli artisti oggi che fanno? per lo più si
adeguano.
Le alternative richiedono un'enorme
capacità di sacrificio e un'etica che disprezzi il successo. Cosa
ci può essere oggi meno di moda di un'etica che disprezza il successo? Ogni
sistema iniquo produce scarti, e il sistema dell'arte non fa eccezione.
Sono troppi gli artisti che smettono di dipingere per difficoltà economiche;
sono finiti i tempi dei grandi mecenati, oggi è molto difficile poter vendere e
guadagnare con l'arte anche quando si è dotati di un vero talento; oltretutto
sono molte e sostanziose le spese da dover affrontare per poter portare avanti
un lavoro artistico professionale. È necessaria una forza d'animo grande e
una caparbietà risoluta per non cedere alle pressioni sociali ed economiche che
spingono ad abbandonare i propri sogni e il proprio talento! La
grandezza dell'uomo si misura in base a quel che cerca e all'insistenza con cui
egli resta alla ricerca, affermava Martin Heidegger, Nelson Mandela disse
invece: Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso!
Dopotutto chi è l'artista nel nostro
immaginario collettivo? L'artista è colui che esce dagli schemi, colui che
sa liberarsi da peso della cultura dominante, che sa vivere in proprio rompendo
con tutte le convenzioni, le ipocrisie, le gabbie di normalità che gravano come
macigni su tutte le società. Quali sono allora, mi chiedo, gli schemi che
oggi dobbiamo rompere, quali le convenzioni e le gabbie di normalità da cui ci
dobbiamo affrancare per rimanere liberi come uomini e artisti?
Ho trovato di grande ispirazione il libro
di Tzvetan Todorov, "L'arte
nella tempesta" o nella versione francese "Il trionfo dell'artista". Il libro affronta la vicenda degli artisti
russi all'epoca della rivoluzione d'ottobre. Scrive Todorov: I
detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono
sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali,
provenienti dalle opere prodotte da questi artisti...Senza queste opere
l'umanità non potrebbe sopravvivere, né allora né oggi. È qui il trionfo dei
fragili eroi del nostro racconto.
Quanto sarebbe bello restituire agli artisti la loro vocazione di fragili eroi; da qui
vorrei ripartissimo, dai valori estetici, etici e spirituali senza i quali
l'umanità non potrebbe sopravvivere, dalla bellezza attraverso la quale il
mondo si salva! Affermiamo ed amiamo la bellezza, in essa s'incarna il
senso della vita che non perisce, si tratta di salvare l'umano nell'uomo, di
salvare il senso stesso della vita umana contro il caos e l'assurdo. Il
mondo ha bisogno di sognare e se gli artisti i musicisti e i poeti smettono di
farlo, chi potrà continuare ad alimentare i sogni!
Si se calla el cantor calla la vida dice una meravigliosa canzone di Horacio Guarany.
Se è vero che la bellezza
salverà il mondo, salvare la bellezza è una grave responsabilità
collettiva! L'artista deve rivolgersi a tutti, e a ciascuno offrire
consolazione e speranza, deve aprire orizzonti dove sembra che non ce ne siano
più, scuotere il mondo anestetizzato da un'indifferenza che non permette più di
vedere la sofferenza degli altri. L'umanità ferita è alla ricerca della
bellezza, alleviarne le ferite vale più di qualsiasi brand di tendenza e di
ogni certezza economica!
Francesco Astiaso Garcia
Si se calla el cantor
Calla la vida
Porque la vida, la vida misma es toda un canto
Si se calla el cantor
Muere de espanto
La esperanza, la luz y la alegría
Si se calla el cantor
Se quedan solos
Los humildes gorriones de los diarios
Los obreros del puerto se persignan
¿Quién habrá de luchar por sus salarios?
¿Qué ha de ser de la vida, si el que canta
No levanta su voz en las tribunas
Por el que sufre, por el que no hay ninguna
Razón que lo condene a andar si manta?
Si se calla el cantor
Muere la rosa
¿De qué sirven las rosas sin el canto?
Debe, el canto, ser luz
Sobre los campos
Iluminando siempre a los de abajo
Que no calle el cantor
Porque el silencio
Cobarde, apaña la maldad que oprime
No saben los cantores de agachadas
No callarán jamás
De frente al crimen
¡Que se levanten todas las banderas
Cuando el cantor se plante con su grito!
¡Que mil guitarras desangren en la noche
Una inmortal canción al infinito!
Si se calla el cantor
Calla la vida
Compositore: Horacio Guarany
TRADUZIONE
Se tace il cantante, la vita tace
perché la vita, la vita stessa è tutta un canto.
Se tace il cantante, muoiono di spavento
la speranza, la luce e la felicita.
Se tace il cantante, rimangono soli
gli umili passerotti del quotidiano.
Gli operai del porto si segnano.
Chi lotterà per loro stipendio?
“Cosa sarebbe la vita se chi canta
non alza la voce in tribuna
per chi soffre, per chi senza motivo
è condannato a andare senza protezione.”
Se il cantante tace, la rosa muore
a che cosa serve la rosa senza il canto?
Il canto deve essere luce sui campi
illuminando sempre quelli in basso.
Che non si tacesse il cantante ché il silenzio
vigliacco conviene alla malvagità che opprime
Nulla sappiano i cantanti delle bassezze
Non taceranno mai di fronte al reato.
(parlato)
“Che si alzino tutte le bandiere
quando il cantate si erge col suo grido
Che sanguinano da mille chitarre nella notte
una canzone eterna nell'infinito.”
Se il cantante tace... la vita tace