Dal 1971 al 1992 è stato docente e professore di estetica al Birkbeck College, presso l’Università di Londra, e in seguito ha ricoperto varie altre cariche accademiche a tempo parziale in altre università anche negli Stati Uniti.
Roger Scruton, l’undici dicembre 2009 ha tenuto una relazione dal titolo “La bellezza e il sacro” presso l’Auditorium della Conciliazione in Roma, nel corso del Convegno “Dio oggi: con lui o senza lui cambia tutto”, organizzato dal Progetto culturale della CEI.
Le sue parole, alla luce dei tempi odierni, segnati da crisi e precarietà generalizzate dovute alla pandemia mondiale, acquistano ulteriore profondità e costituiscono preziosissimi spunti di riflessione.
Vi riporto qualche estratto particolarmente illuminante che lascia ben sperare in una nuova fioritura delle arti nel prossimo futuro:
“Nel dubbio e nella desolazione, artisti, scrittori e musicisti si sono aggrappati alla prospettiva della bellezza quale prova dell’influenza sempre viva esercitata dall’amore, dalla speranza e dall’idealità umana.
Molto spesso le più belle opere d’arte del secolo XX emergono proprio dalla desolazione. Le poesie dell’Akhmatova, gli scritti di Boris Pasternak, la musica di Dmitri Šostakovič: opere siffatte cercano di accendere una luce nell’oscurità totalitaria, di trovare la bellezza nella sofferenza e di mostrare l’amore che agisce nel mezzo della distruzione. Qualcosa di analogo si dovrebbe dire dei Quattro quartetti di Eliot, di War Requiem e Curlew River di Britten e della Chapelle du Rosaire a Vence di Henri Matisse; anzi, di tutte le grandi icone del modernismo, concepito in risposta ai crimini e alle tragedie del secolo XX.
Il culto della bruttezza e della dissacrazione si afferma oggi in un’epoca di prosperità senza precedenti. Opere brutte vengono prodotte dai figli viziati dello Stato assistenzialistico, persone che non hanno mai dovuto lottare per la sopravvivenza, che non hanno conosciuto la guerra e che sono finite giovanissime in braccio al lusso. Sono il prodotto della ricchezza materiale e dei valori materialistici.
Sembra, dunque, che la brama della dissacrazione cresca nell’abbondanza e nella pace, mentre la voglia della bellezza resista là dove vi sono oppressione, violenza e bisogno. Nella ricchezza sorge l’illusione di essere padroni del proprio fato e quindi di non avere più bisogno di un Dio che provvede per noi. S’inizia a perdere ogni senso della presenza divina, ogni senso del fatto che il mondo abbonda di momenti sacri, di luoghi sacri e di cose sacre.
Il nostro bisogno umano di bellezza non è semplicemente un’aggiunta ridondante alla lista degli appetiti umani.
Possiamo vagare per questo mondo, alienati, risentiti, pieni di sospetto e di sfiducia. Oppure possiamo trovare la nostra casa qui, riposando in armonia con gli altri e con noi stessi. E l’esperienza della bellezza ci guida lungo questa seconda strada.
La ricerca della bellezza continua la ricerca dell’amore. E ciò spiega l’importanza dell’arte in una epoca di violenza, di oppressione e di spodestamento.
Allo stesso tempo la bellezza ci ricorda che alle nostre esistenze qualcosa manca: che l’abbondanza materiale non è di per se stessa sufficiente per noi.
Non vi è ancora ragione per pensare di dover abbandonare la via positiva della bellezza. Perché, allora, così tanti artisti si rifiutano oggi di camminare lungo quel sentiero? Forse perché sanno che conduce a Dio.
Un mondo che contiene bellezza è un mondo in cui la vita è degna di essere vissuta.
Di fronte al dolore, all’imperfezione e alla transitorietà delle nostre affezioni e delle nostre gioie, miriamo ad archetipi più perfetti.
All’arte chiediamo di riassicurarci sulla sensatezza della vita in questo mondo e sulla redenzione della sofferenza.
Si è guardato all’arte per ottenere quella riassicurazione decisiva circa il fatto che la vita umana non è solo una storia insulsa di nascita e decadimento, che una forza redentrice è attiva al cuore stesso delle cose e che il nome di questa forza è amore. La bellezza può essere persino definita in questo modo: è il volto dell’amore, che risplende nella desolazione“.
Qual'è il vostro parere circa queste considerazioni? Siete d'accordo? Sarebbe bello aprire una discussione su questi argomenti nei commenti qui sotto :-)