Forse, dopo la
trasmissione della fede, uno dei compiti più importanti che sento nei confronti
dei miei figli è quello di insegnare loro l’arte
della contemplazione. Essa potrà diventare per loro una sorgente
inesauribile di guida, di senso e di conforto, un orientamento interiore
indispensabile per non smarrirsi tra le onde del mondo. In un tempo dominato
dalla fretta, dall’immagine e dal rumore, la capacità di fermarsi, di guardare
in profondità, di riconoscere la bellezza e la presenza del mistero nel reale è
forse il dono più prezioso che un padre possa lasciare in eredità.
Trovo di straordinaria ispirazione queste splendide
parole che Pavel Florenskij,
grande teologo, scienziato e martire della fede, fucilato per ordine del regime
sovietico l’8 dicembre 1937, ha lasciato scritte ai suoi figli:
“Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle
o l’azzurro del cielo: allora la vostra anima troverà la quiete. La vita vola
via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti sfugga l’istante
della sua pienezza.
Per questo è fondamentale apprendere l’arte del vivere, tra tutte la più ardua
ed essenziale: colmare ogni istante di un
contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso non si ripeterà
mai più come tale.”
Parole che custodiscono un insegnamento luminoso: solo
chi sa contemplare sa davvero vivere, perché riconosce in ogni attimo
un frammento d’eterno. Questo significa vivere la vita come un’opera d’arte:
passare da un’esistenza artigianale fatta di cause ed effetti, alla vita sperimentata
come arte, vissuta come un’opera ispirata aperta alla gratuità della grazia.
Francesco Astiaso
Garcia
Il tramonto romano del 23 ottobre 2025 condiviso con mio figlio Francisco











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