Pochi
giorni fa, per il ventiquattresimo anno consecutivo, mi sono recato a Venezia
per visitare la Biennale d’Arte, quest'anno dal suggestivo titolo “Stranieri
Ovunque”. Tra tutte le mie dodici esperienze alla Biennale, posso affermare
senza esitazione che la visita al Padiglione della Santa Sede di quest’ultima
edizione, è stata quella che mi ha maggiormente coinvolto ed emozionato!
Molto si è discusso sulla decisione della Santa Sede di collocare il suo Padiglione all'interno del carcere femminile della Giudecca, una scelta tanto audace quanto simbolica. Il progetto, intitolato “Con i miei occhi”, ha trasformato le detenute nelle protagoniste dell'opera d'arte, offrendo una prospettiva rara e toccante sul tema della reclusione e dell'inclusione. Questa iniziativa non solo ha sfidato i pregiudizi comuni, ma ha anche evidenziato come l’arte possa essere uno strumento potente di redenzione e riflessione sociale.
“Il
visitatore - spiega il curatore Bruno Racine - è invitato a immergersi in
questa esperienza poetica intensa, privato dei suoi dispositivi digitali e
guidato da detenute formate, affrontando così un viaggio che sfida preconcetti
e apre nuove prospettive sull'arte come mezzo di espressione e connessione
umana”. Se
l'arte è sempre più "parte di un vasto progetto mondiale di
intrattenimento e distrazione", ci auguriamo che nella prigione "le
possa essere restituito il suo potere trasformativo".
Personalmente,
considero questa scelta un'intuizione profetica che restituisce
all'arte il suo luogo più autentico: la vita dell'uomo, con tutte le sue
contraddizioni.
Durante la visita al
carcere, siamo stati accolti in quegli spazi in cui le detenute vivono la loro
quotidianità. Tra questi, quello che mi ha colpito di più è stata la sezione
riservata alle madri con bambini sotto i sei anni. L’immagine è fortemente
contrastante e quasi surreale: scivoli e altalene, simboli di spensieratezza
infantile, si trovavano sotto l’ombra imponente delle alte mura di recinzione.
Non ho potuto far a meno
di pensare ai potenti versi della canzone “La città vecchia” di Fabrizio De
André, un meraviglioso invito laico a non giudicare: «Se tu penserai, se
giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma
se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli, son pur sempre
figli, vittime di questo mondo».
Personalmente ho vissuto la visita in carcere come un invito a cercare l’uomo nel profondo, un'opportunità preziosa per riflettere sul modo in cui gli uomini guardano la realtà e su come invece la guarda Dio. Se dovessi azzardare a dire qualcosa sullo sguardo di Dio vorrei partire proprio da un'immagine poco conosciuta ma davvero straordinaria dell’illustratrice Kristi Valiant dal titolo “Il figlio prodigo”.
Il merito più grande di
questa illustrazione a mio avviso è proprio l'invito universale alla
redenzione che porta alla riscoperta del vero sé, libero dai pesi degli
errori; un invito a riconnettersi con quella purezza che risiede
in profondità in ciascuno di noi, anche quando il mondo esterno vede solo
le cicatrici.
Forse è per questo che
Papa Francesco ha visitato i detenuti ben 18 volte e, per la stessa ragione, ha
voluto collocare il Padiglione Vaticano della Biennale di Venezia all'interno
del carcere femminile della Giudecca, portando l'arte e la cultura proprio in
un luogo dove si sperimentano le forme più dure di esclusione e
privazione. Una cosa è certa: tutti abbiamo bisogno di riscoprire
questo nuovo Sguardo!
Non ci credete? Andate a
vedere "Con i vostri occhi".
Francesco Astiaso
Garcia
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